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di Mario Paternostro

GENOVA - Le cose intoccabili a Genova sono la comunità di Sant’Egidio, la Gigi Ghirotti, la comunità di San Benedetto e il Ceis. Ghirotti e Ceis celebrano quest’anno due importanti anniversari, i quarant’ anni dell’ associazione che assiste i malati terminali di tumore e i cinquanta della creatura inventata nel 1974 da Bianca Costa. E dietro queste magnifiche realtà genovesi ci sono o ci sono state alcune persone. Il professor Franco Henriquet per esempio, l’indimenticabile Don Gallo e Bianca Costa, la “signora della solidarietà”.

Di lei voglio parlare oggi proprio in occasione del ricordo della sua associazione che nel pieno dell’esplosione del fenomeno della droga che squassava giovani vite e distruggeva famiglie di ogni estrazione sociale, decise che invece di fare la signora della “Genova-bene” (orrendo termine usato ancora oggi, ahimé) si sarebbe occupata di queste vittime emarginate.

Ricordo che alla fine degli anni Settanta decidemmo in cronaca al “Decimonono” di mandare un giovane cronista a contare quante siringhe usate avrebbe trovato la mattina in uno dei più popolari giardinetti di Genova. Antonio Tempera, munito di guanti protettivi tornò in redazione con un numero impressionante contato tra le aiuole.

Pochi anni dopo la giornalista Maria Latella raccontò della conta delle siringhe “ufficiale” e della vendita delle stesse nelle farmacie: ogni giorno in poco più di due, ore dall’una alle tre e mezzo del pomeriggio, si vendevano a Genova seimila siringhe nelle tredici farmacie di turno in quella fascia oraria nel centro. Commentava allora il dottor Tettoni segretario dell’ordine dei farmacisti che il dato poteva essere addirittura per difetto.
L’eroina dilagava come un’epidemia.

Bianca Costa voleva aiutare nel modo più “moderno” possibile i ragazzi a uscire dalla droga.
Lo fece col suo Ceis il Centro di Solidarietà, aiutata dalla sua solida famiglia (Enrico ancora oggi presiede l’associazione) con una sua filosofia: trasmettere a questi giovani disperati la voglia di amare e di vivere. Lo fece partendo dalla forza della sua fede, ma aggiungendo a questa una buona dose di coraggio.
Riascolto cosa disse don Gallo ai funerali della “signora della solidarietà”, scomparsa diciott’anni fa. “Nel 1971 si è lasciata stimolare dal concilio Vaticano II e capì che non bastava più l’elemosina già fortunatamente ampia, ma occorreva una trasformazione, un salto da una solidarietà assistenziale a una solidarietà liberatrice”. “Liberatrice”, parola magica e insieme terapeutica.

Le case del Ceis, così si aprirono anche ai malati di Aids. E così il Ceis si è sviluppato seguendo l’impostazione d’avanguardia della fondatrice, adeguandosi alle nuove “droghe”, alle nuovissime dipendenze, ma operando anche nel campo della assistenza psicologica e dell’aiuto ai migranti e della cosiddette nuove povertà oggi drammaticamente dilaganti.

“E’ stata una persona – spiegò allora la ministra Livia Turco – che aveva al centro della sua vita e della sua attività la dote dell’amorevolezza”.

Comunità voleva innanzitutto dire ascolto, farsi carico dei guai degli altri invece di evitarli voltandosi per strada quando si incontrava un tossico in evidente difficoltà.

Il Ceis fu una nuova dimostrazione che Genova non era la città degli indifferenti come spesso era banalmente raccontata, anzi, semmai il contrario, seguendo una sua tradizione secolare di assistenza sempre moderna da Caterina Fieschi Adorno a Bartolomeo Bosco e Ettore Vernazza fino a don Orione. Gli assistiti, spiegava Bianca Costa, non avrebbero dovuto mai sentirsi “giudicati” dagli altri.

La vittoria era vedere un ragazzo uscire dalla comunità dopo essere riuscito a riprendersi la vita in mano. Una filosofia che se allora valeva per le vittime dell’eroina oggi vale per tanti drammi umani. Dai nomi e dalle origine diverse, ma sempre storie di disagi e vite distrutte.

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