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Non credo sia necessario chiedersi se il 25 aprile “possa” essere la festa di tutti gli italiani, credo invece sia utile riflettere sul fatto che “dovrebbe” esserlo e che nonostante tutti siano invitati in molti non ritengano di avere qualcosa da festeggiare
2 minuti e 32 secondi di lettura
di Riccardo Olivieri

GENOVA - Qualche volta mi è capitato di entrare in un secret bar. Spiego a tutti il funzionamento: si tratta di locali nascosti (spesso in altre attività commerciali), dove si entra con una parola d’ordine. Per esempio la guardia alla porta potrebbe chiedere “sei antifascista?” e la parola d’ordine potrebbe quindi essere “sì”.

Quella del 25 aprile è una festa aperta a tutti ma la domanda all’entrata rimane. Perché se è vero che la Liberazione dagli orrori e le atrocità del nazifascismo e la fine della guerra hanno riguardato tutti, è anche vero che chi ha più o meno nostalgia del fascismo difficilmente vorrà festeggiare.

Non credo quindi che sia necessario chiedersi se il 25 aprile “possa” essere la festa di tutti gli italiani, credo invece sia utile riflettere sul fatto che “dovrebbe” esserlo e che nonostante tutti siano invitati in molti non ritengano di avere qualcosa da festeggiare, fenomeno che ha come corollario il fatto che altri siano non particolarmente graditi e alcuni addirittura considerati imbucati.

Ed è qui che si arriva all’annoso dibattito sull’antifascismo, che offre alcune considerazioni interessanti in particolare per quanto riguarda la figura dei politici.

La vita politica è connotata principalmente da due aspetti. Li potremmo definire “ideologia” - intesa come visione di città/Paese/Mondo e di futuro - e “pragmatismo” - ovvero la traduzione pratica di questi principi e i compromessi necessari per realizzare qualcosa che si ritiene utile -, che ciascuno esprime in quantità e percentuali diverse a seconda del suo modo di essere.

Quindi, se ad un politico si chiedesse “sei antipedofilo?” è plausibile (e auspicabile) aspettarsi un pragmatico sì come risposta, corredato, a seconda delle proprie convinzioni, di considerazioni ideologiche che vanno dalla necessità della castrazione chimica al reinserimento in società perché nonostante si tratti di un reato tra i più orribili dovrebbe essere questo l’obiettivo della detenzione.

Quando ad un politico si chiede “sei antifascista?” il sì non è altrettanto scontato e di fronte ad un’astensione dalla risposta trovo che i possibili casi siano due: o siamo di fronte ad un interlocutore ideologicamente non-antifascista, quindi fascista e non serve spiegare perché questo sia grave; oppure siamo di fronte ad una persona pragmaticamente non antifascista, che trova nel non sbilanciarsi la possibilità di conquistarsi una cosiddetta “fetta di elettorato”. Quest'ultimo caso porta ad altre due considerazioni: la prima è che un elettorato di stampo fascista in Italia esiste e non è trascurabile, altrimenti non sarebbe conveniente gettare dubbi sul proprio antifascismo; la seconda è che l’elettorato fascista finisce col trovare una propria rappresentanza in giunte comunali o regionali e in parlamento.

In conclusione, il 25 aprile deve certamente diventare la festa di tutti ma se oggi possiamo dire che non lo è non è per colpa di qualcuno che escluderebbe qualcun altro, è colpa del fatto che ancora oggi esiste un pensiero fascista in Italia che peraltro riceve quotidianamente un riconoscimento politico. Un dibattito molto più concreto e molto meno di maniera rispetto a come, purtroppo, viene presentato e affrontato. E con una domanda all’ingresso, che non si può più eludere. Anche se qualcuno resta fuori.

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