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Il loro ingresso in porto ripreso grazie alle quattro telecamere di Portview che riprendono lo scalo genovese in diretta 24 ore su 24
3 minuti e 48 secondi di lettura
di Tiziana Oberti

 

GENOVA - La vita, o chiamatelo se preferite destino, rappresentata plasticamente in un’immagine: la piccola rossa 'Sea-Eye 4' che ha trasportato 51 migranti ormeggiata all'ombra dell'enorme nave da crociera 'Celebrity ascent' che ha ospitato i circa 1000 invitati della festa pre-matrimoniale a Portofino di Anant Ambani, figlio di Mukesh Ambani l’uomo più ricco dell’India e nono al mondo secondo Forbes, e Radhika Merchant, figlia di magnati indiani. Insieme a ponte Colombo nel porto di Genova vicine eppure così distanti.

Due navi riprese dal loro ingresso in porto grazie alle quattro telecamere di Portview che riprendono lo scalo genovese in diretta 24 ore su 24, 7 giorni su 7 in tutto il mondo. (CLICCA QUI)

Quell'immagine è diventata virale in poche ore, d'altronde viviamo in una società dove le immagini spesso diventato entità dotate di vita propria che generano azioni e reazioni. Questa fotografia vale più di mille parole e racconta la realtà che viviamo.

L'indignazione che in molti provano in queste ore di che tipo è? Si sa, o meglio si dovrebbe sapere, che non ne esiste una sola. E io oggi voglio sperare e credere che quelle 51 persone salvate in mezzo al mare, arrivate da paesi lontani, non siano i soliti invisibili quelli che "bisogna aiutare a casa loro", quelli che "sanno solo chiedere l'elemosina", quelli che "sanno sono delinquere e rubarci il lavoro".

Voglio credere che questa immagine diventata virale possa essere un'occasione per farsi delle domande.

E quella che dovremmo farci tutti è: è questo il mondo che voglio? Sono i due lati estremi della realtà ormeggiati nel porto di Genova che ci impongono di fare questa riflessione per evitare che l'indignazione sia solo una storia su Instagram o un 'mi piace' su Facebook e passi in un soffio e allora sia, a mio modo di pensare, ancora peggio.

Da una parte 51 persone salvate in mezzo al mare, esseri umani la cui disperazione è tale da mettersi in viaggio e salire su un barchino, molto spesso senza neanche saper nuotare, solo per sperare di avere un'altra possibilità, perché nel proprio paese la vita non ha più futuro e quindi rischiare di morire annegati è il male minore. Dall'altra pochissime persone che detengono una ricchezza immensa. Due mondi che corrono paralleli ormeggiati nel porto di Genova e che non potrebbero essere più diversi.

Sarebbe troppo facile e banale ricordare la situazione di povertà dell'India e che proprio il 1 giugno, giorno della grande festa a Portofino, ha visto chiudersi le urne delle elezioni più numerose con oltre un miliardo di persone chiamate a votare.

Guardando questa immagine spero che ci si possa chiedere che cosa possiamo fare noi ogni giorno: quando camminiamo per strada e non ci rendiamo conto di quel migrante o di quel senza fissa dimora su una panchina, oppure quando camminiamo con gli occhi solo rivolti verso il nostro smartphone e non ci rendiamo conto di chi è più in difficoltà anche vicino a noi, nel nostro palazzo o nel nostro ufficio.

Viviamo in una società molto brava a guardare il mondo da un piedistallo, a sapere sempre che cosa è giusto o sbagliato ma per quello che riguarda l'altro, a giudicare quello che si fa o si dovrebbe fare o non fare. Ci arroghiamo quasi sempre il diritto di giudicare, lo facciamo quando diciamo che i migranti non dovrebbero salire su un barcone per venire a cercare una vita migliore, lo facciamo quando guardiamo un giovane che chiede l’elemosina per strada con i suoi cani e abbiamo già deciso che non ha voglia di lavorare, oppure giudichiamo non adatto ancora oggi un disabile psichico o fisico a lavorare ma c’è anche di peggio ci sono anche quelle persone che apparentemente non hanno diversità o peculiarità ma invece di continuo si giudicano perché in questa società è più facile dare dei giudizi, rimanendo nella confort zone che ci si è creati, piuttosto che sporcarsi le mani confrontandosi con gli altri per andare a capire che cosa c’è dietro le storie delle persone.

E allora io mi auguro che l’immagine plastica della diversità del nostro mondo, che vediamo nel nostro porto, possa, a me per prima, e poi a tutti, far cercare ogni giorno una strada per vedere le persone che la vita ha messo sulla mia strada, le loro ferite, i loro dolori, la loro forza ed evitare quel terribile falso buonismo.

Questa immagine virale spero che ci possa spingere a guardarci sempre di più negli occhi e a essere pronti a mettere anche in discussione le nostre convinzioni per capire quello che possiamo fare.

Utopia? Io spero di no.