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di Mario Paternostro

Quando il 18 maggio del 1993 il sindaco di Genova, Claudio Burlando (giovane esponente del Pds) venne arrestato e condotto in carcere per la storia del sottopasso di Caricamento, il primo cittadino si dimise immediatamente e lo fece per sensibilità istituzionale. Riteneva impossibile che un sindaco in prigione (ebbe i domiciliari una settimana dopo l’arresto) potesse governare seriamente una città complessa come Genova. C’era qualcosa di più di un rischio di paralisi totale. Burlando ricevette la solidarietà dal Quirinale dove sedeva un presidente, Oscar Luigi Scalfaro, che non si può definire certamente molto affine alle sinistre. Burlando dovette attendere che una sentenza definitiva lo assolvesse dalle accuse di truffa e di abuso di ufficio. Fu assolto per non aver commesso il fatto, addirittura con il riconoscimento di sessanta milioni come risarcimento per una detenzione ingiusta.

La carriera politica di Burlando, allora devastata dall’arresto, con l’assoluzione esplose positivamente: fu eletto deputato nel 1996 e con la vittoria dell’Ulivo il premier Romano Prodi lo nominò ministro dei Trasporti e della Navigazione. Certo non furono i sessanta milioni a restituire al sindaco ingiustamente arrestato quella serenità che gli era stata bruscamente cancellata.

Tutta questa pappardella per dire che, per questioni di sensibilità istituzionale, credo che Giovanni Toti dovrebbe dimettersi non essendo possibile anche logisticamente governare la Liguria da remoto con un sistema di smart working politico, tipo pandemia da Covid. Nell’ipotesi di una uscita rapida dalla complicata vicenda giudiziaria che mi auguro per lui e per i suoi sostenitori , Toti che in ogni caso ha dichiarato di non ricandidarsi alla presidenza della Regione (anche perché non esiste il terzo mandato) avrebbe aperte le porte della politica nazionale. Un obbiettivo che per il fondatore di un movimento “personalizzato” dovrebbe essere interessante. Intendo dire che le dimissioni potrebbero comportare maggiori “chances” politiche.

Ora che il riesame ha bocciato la richiesta di revoca degli arresti domiciliari mi pare che una scelta in tal senso da parte del presidente sarebbe risolutiva oltre che politicamente corretta. Risolutiva politicamente e non solo, perché se da un lato come sembra, Toti potrebbe tornare in libertà, essendo annullato il rischio di replica dei reati, dall’altro potrebbe riprendere in mano la sua “vita politica” e del partito di cui è leader, non costringendo i suoi colleghi politici e alleati a viaggi perpetui tra Genova e Ameglia, per garantire al territorio una gestione seria e attenta con un presidente fisicamente bloccato. La politica, come si sa, è un dialogo continuo, un moltiplicarsi di contatti.

Tutto questo servirebbe alla sua coalizione di centro destra per muoversi liberamente, magari anche in vista di elezioni regionali anticipate rispetto alla data del 2025. E il rispetto delle scelte dell’elettorato sarebbe garantito. Burlando dimettendosi restituì in un certo senso ai suoi elettori la scheda che avevano messo nell’urna  e con l’assoluzione riottenne a pieno diritto il suo ruolo, non più di sindaco, ma di deputato. La resistenza in una Presidenza che verrebbe trasformata nel fortino preso d’assalto dai Sioux (le opposizioni non potrebbero, logicamente, starsene zitte tradendo così il volere dei loro elettori) sarebbe indifendibile.

In questo momento di decisioni strategiche è quanto mai indispensabile un governo pieno, non ostacolato nei suoi movimenti. Logicamente legittimato dalle scelte democratiche, cioè dal voto. Sia quello che nel 2020 diede la vittoria alla coalizione di centro destra con Toti come leader indicato, sia nell’ipotesi di elezioni anticipate quello che verrebbe fuori dalle decisioni degli elettori liguri.

 

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