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di Matteo Angeli

Fine della corsa per il latitante brigatista Leonardo Bertulazzi, appartenente alla colonna genovese delle Brigate Rosse. Bertulazzi è stato arrestato in Argentina: deve espiare la pena complessiva di 27 anni di reclusione per sequestro di persona, associazione sovversiva, banda armata ed altro. Latitante dal 1980, si è reso colpevole, tra gli altri delitti, di partecipazione al sequestro dell'ingegnere navale Piero Costa, avvenuto a Genova il 12 gennaio 1977.

Un sequestro pensato dalla colonna genovese per ottenere denaro e finanziare le azioni sovversive in divenire, come l'acquisto dell'appartamento di via Montalcini dove poi venne tenuto prigioniero Aldo Moro. Il 12 gennaio 1977 alle 19.30 Pietro Costa, 42 anni, sposato e padre di due figli, appartenente a una tra le più ricche famiglie di armatori genovesi viene sequestrato vicino alla sua casa di Castelletto.

La prima richiesta di riscatto è di 10 miliardi di lire. La trattativa con la famiglia porterà al ridimensionamento della richiesta a un miliardo e cinquecento milioni di lire.
Il pagamento venne portato a termine a Roma, nel parco di Villa Sciarra, il 26 marzo. Costa, che per tutto il periodo del sequestro venne tenuto segregato da Riccardo Dura, verrà rilasciato all'alba del 4 aprile, legato mani e piedi in salita San Bersezio.
La notizia dell’arresto di Bertulazzi inevitabilmente fa riaffiorare alla memoria quegli anni tremendi per l’Italia tutta e per Genova in particolare. La nostra città agli inizi degli anni Settanta è stata il teatro di eventi che hanno dato il via alla stagione della lotta armata in Italia. Fu qui che nacque la "banda XXII Ottobre", un gruppo che con le sue azioni violente segnò l'inizio di una tragica era di terrorismo. Il 5 ottobre 1969 il sequestro di Sergio Gadolla poi nel 1974 il clamoroso sequestro del magistrato Mario Sossi da parte delle Brigate Rosse, un episodio che scosse profondamente il Paese.

L'anno successivo, nel 1975, Genova fu ancora una volta al centro dell'attenzione nazionale con l'omicidio del giudice Francesco Coco e dei due uomini della sua scorta. Coco aveva svolto il ruolo di pubblico ministero nel processo contro la banda XXII Ottobre e, successivamente, si era opposto alla scarcerazione dei militanti del gruppo, richiesta dalle BR in cambio della liberazione di Sossi. Questo omicidio rappresentò una svolta nella strategia delle Brigate Rosse, che da quel momento in poi continuarono a seminare il terrore con una serie di azioni violente. L’8 ottobre 1975 commettono la rapina allo sportello della Banca Carige, all’interno dell’Ospedale San Martino. 

Il 22 ottobre 1975 aggrediscono Vincenzo Casabona, capo del personale dell’Ansaldo meccanico: lo sequestrano ad Arenzano, lo picchiano e fotografano, e poi lo rilasciano a Recco. Il 1 giugno 1977 venne ferito il ViceDirettore de Il Secolo XIX, Vittorio Bruno, il primo giornalista gambizzato. 
Il 27 giugno 1977 venne ferito il dirigente dell’Ansaldo, Sergio Prandi. Il 10 luglio 1977 venne ferito il Segretario Regionale della Democrazia Cristiana, Angelo Sibilla. 

Il 21 giugno 1978 viene ucciso Antonio Esposito, esperto dell’antiterrorismo che aveva lavorato sotto comando diretto del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e inviato proprio a Genova per combattere il terrorismo. Salito sul bus della linea 15 in piazza Tommaseo alla Foce insieme ai suoi assassini, viene ucciso dal brigatista Riccardo Dura nei pressi di Via Pisa in Albaro. Per sei anni, la colonna genovese delle BR visse nel mito dell'imprendibilità, sfuggendo costantemente alla cattura e continuando a colpire. Questa impenetrabilità così alta valse alle BR Genovesi l’appellativo de “gli Imprendibili”, tali erano i livelli di clandestinità che riuscivano a mantenere.

L'evento che suscitò il maggiore sdegno fu, però, l'assassinio di Guido Rossa, un operaio e militante del Partito Comunista Italiano. Rossa fu punito dalle BR per aver denunciato un collega, Francesco Berardi, sorpreso a distribuire materiale propagandistico brigatista all'interno della fabbrica dove lavoravano. L'omicidio di Rossa, avvenuto il 24 gennaio 1979 e segnò un punto di rottura per le BR, alienandole anche da quegli ambienti di sinistra che inizialmente avevano mostrato una certa comprensione verso il loro operato.

La parabola della colonna genovese delle Brigate Rosse si concluse tragicamente il 28 marzo 1980, quando quattro brigatisti furono uccisi dai carabinieri in un'operazione a sorpresa in via Fracchia, grazie alle rivelazioni del "pentito" Patrizio Peci. Questo episodio mise fine a infiniti anni di sangue e violenza, durante i quali Genova aveva vissuto al centro della strategia brigatista. Una delle pagine più buie della storia repubblicana italiana. Una storia che continua a lasciare profonde cicatrici nella memoria collettiva con qualche buco nero di troppo.