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di Franco Manzitti

Non è solo la soluzione estrema che il centro destra trova nel suo cilindro, quando il tempo sta per scadere. Ma la grande sorpresa di Marco Bucci, candidato alla Regione, partendo da Tursi, è la sintesi di una situazione politica complessiva, che scoperchia non solo la Liguria, ma Genova intera.
Chiedere quasi in ginocchio al sindaco che è stato il più popolare in Italia (oggi è un po’ sceso, ma questa è la fisiologia della popolarità), chiedere all’”uomo del Ponte”_ come viene chiamato in Italia e non solo_ di togliere le castagne del fuoco, significa mettere in chiaro molti aspetti che galleggiavano tra l’inchiesta della magistratura, il totismo sconfitto, significa sfidare la concorrenza, cioè il centro sinistra, in una competizione nuova e inaspettata.

E, infine, disegnare una figura di candidato presidente molto diversa da un modello “classico”, e anche dai modelli sfilati sulla ribalta fino a ieri mattina, come Ilaria Cavo, la donna volitiva e combattente, Edoardo Rixi il viceministro di esperienza e di visione con grande identità politico leghista, Pietro Piciocchi, il vicesindaco -macchina di lavoro e fondamentalista di professione e di fede.
Bucci è diverso. Bucci è “u sindecu cu’ cria, è l’ uomo venuto dal Michigan, che nessuno conosceva e che ha sconvolto i ritmi di Tursi e della città con un impeto sconosciuto, il primo cittadino che si identificava con il ruolo in un modo quasi martellante, perfino durante le difficoltà personali che ha attraversato e che stava attraversando.

Se chi gli ha chiesto con il massimo della autorevolezza, la presidente Meloni e i leader politici nazionali, ha “osato” insistere e stanarlo, lui accettando ha sfoderato un coraggio e una forza che probabilmente in questo momento non gli erano riconosciuti.

Tradimento della città, del percorso, delle scommesse lanciate al grido di “san Giorgio”? Tradimento a quasi tre anni dalla fine del suo secondo mandato, sempre il più difficile, il più impegnativo e in questo caso attraversato anche dall’esplosione di una indagine giudiziaria, che ha fatto cadere i suoi principali interlocutori, Toti e il totismo, Signorini da lui perfino scelto per Iren?

Non è mai successo che un sindaco a Genova abbandonasse Tursi per cercare di conquistare De Ferrari (ieri via Fieschi), nel pieno del suo mandato finale, con tutti quei miliardi in ballo, quelle grandi opere in viaggio, in una città capovolta dai cantieri, dalle sfide.
Non siamo nella testa di Bucci e nel cuore della sua scelta, anche personale, privata e famigliare, ma possiamo pensare che gettarsi oggi in una campagna elettorale radente, velocissima, pericolosissima, anche per la sua popolarità, sia come un andare a riprende su un campo più allargato l’insieme delle sue sfide.
Il sindaco in campo scoperchia le fragilità di una classe dirigente politica molto frastagliata, divisa più di quanto sospettassimo nel centro destra, tra uscita dal totismo, calcoli sul futuro tra Fratelli d’Italia leader, la Lega in difesa, Forza Italia rimontante.

E scoperchia anche la minoranza, che era montata a cavallo con una forza insospettata, grazie alla scelta del candidato Andrea Orlando , già partito sulle ali dello scandalo giudiziario e di una esperienza politica così solida, sconosciuta a queste latitudini per il Pd e i suoi elettrizzati alleati, assetati di vendette e rivalse e così carenti di leaders.

Ora la partita è diversa: affrontare Bucci da una posizione che gli stessi sondaggi di Tecnè-Primocanale indicavano per ora in vantaggio e anche nettamente un altro match per Orlando e i suoi alleati. Perchè Bucci è Genova, dove si gioca il clou della partita e ha una quasi unanimità tra gli elettori della sua parte e un consenso non irrilevante tra gli altri. Bucci scoperchia tutti i giochi di un centro moderato, che oscillava con Renzi e con Calenda perfino nelle viscere stesse della sua giunta e vede in campo, da candidato in Regione il sindaco che garantiva un po’ tutti con equilibri diversi.

Bucci scoperchia Genova perché apre una lunghissima campagna elettorale genovese che nessuno aspettava, facendo partire in questo caso in vantaggio la sua parte, che governa la città ed ha in Pietro Piciocchi un facente funzione, già lanciato verso una possibile successione.
Ma sappiamo che la politica può ingannare e questa vicenda conferma che le sorprese sono imprevedibili e anche improvvise. Certo, immaginare, mentre si sta “bruciando” una campagna elettorale lampo regionale, quella comunale lunga un autunno, un inverno e una primavera, diventa un esercizio complesso.
Sopratutto per il centro sinistra, che di colpo può giocare due partite che solo sei mesi fa non immaginava di dover affrontare. E in Comune sono lustri che i partiti architrave della opposizione di oggi non riescono a giocare bene la partita.

Prendiamo il Pd, che si fece sfilare Genova perfino da Marco Doria e che poi capitolò con Crivello e con Dello Strologo davanti all’ex Carneade Bucci.
Che ora prende di nuovo in contropiede non solo i partiti, le coalizioni, i leader, ma una Regione intera.