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di Mario Paternostro

Più o meno cinquant’anni fa nasceva a Genova la “giunta rossa”. Così la chiamavamo nei giornali per caricare maggiormente la notizia. I socialisti avevano mollato con un anno di anticipo la Democrazia Cristiana e l’ottimo sindaco Giancarlo Piombino per dare vita a un governo a due con il partito comunista. Divenne sindaco il “lombardiano” Fulvio Cerofolini e fu una vera e propria rivoluzione amministrativa. Tra i primi obbiettivi della giunta Pci-Psi il recupero delle periferie, allora si chiamava così tutto quello che andava oltre Sampierdarena da una parte e Nervi dall’altra. Quindi anche le due strategiche vallate, una la Valpolcevera coperta di stabilimenti in difficoltà crescente e soprattutto di serbatoi con le raffinerie, l’altra di servizi caratterizzati dall’essere “fastidiosi”. A cominciare dal monumentale cimitero, poi la Volpara luogo scelto per scaricare la spazzatura, il deposito di tutti i bus genovesi, il carcere di Marassi, il gasometro e , infine, lo stadio del calcio, il vecchio e fatiscente Ferraris.

Cerofolini e la sua squadra ipotizzarono e lavorarono per una Valpolcevera senza raffinerie (poi diventerà una valle- supermercato) e per una “liberazione” della Valbisagno dalla schiavitù di troppi “servizi” concentrati nello stesso limitato territorio. Un territorio, fra l’altro, molto abitato e reso particolarmente critico dalla presenza di un torrente minaccioso e infido come il Bisagno. Quando diluvia lungo il Bisagno cresce la paura. Sono ancora davanti ai nostri occhi le tragiche immagini che proprio Primocanale con i suoi giornalisti e operatori documentò ora per ora.

Lasciamo stare il cimitero, diventato un grandioso monumento di arte e di storia, ma carcere, Volpara e stadio crearono seri problemi di vivibilità. Lo stadio, in particolare, che ormai non soltanto durante i week end, per ragioni di sicurezza obbliga chi abita nei dintorni a dimenticare i parcheggi o il passeggio, o la necessità di portare i bambini ai giardinetti o quella degli anziani di passeggiare magari fino al piacevole ex mercato di corso Sardegna. E questo è solo il dettaglio di una questione più grande che, in questi giorni con la assurda violenza intorno al derby, ha esasperato a ragione gli animi degli abitanti e che proprio ieri ha ricordato Franco Manzitti (LEGGI QUI).

Mi racconta un amico che mercoledì pomeriggio per lui e la sua famiglia, cane compreso, sono cominciati i problemi. I negozi del quartiere chiusi. Vietato fare la spesa. I primi petardi a metà pomeriggio e il povero cane che perde la tranquillità, poi i tafferugli, gli scontri sempre più violenti, bastoni, botte, aggressioni, feriti. La strade intorno allo stadio trasformate in terreno di battaglia. Così lui decide con sua moglie e il povero cane di lasciare la sua casa e riparare in riva al mare, in corso Italia, curiosamente deserto.
Gli scontri hanno imperversato fino a tarda sera. Il povero abitante di Marassi è rientrato nella sua abitazione dopo le dieci.

La sua storia è stata quella di migliaia di persone che ora, insieme ai commercianti, decidono di ribellarsi alla condanna di questo pezzo di Genova che ha diritto di vivere tranquillo come tutti gli altri.
E di pensare seriamente all’allontanamento dello stadio di calcio. Via dalla Valbisagno. Da un’altra parte, in un luogo meno circondato da case e abitanti, anziani e bambini e negozi che devono lavorare.
Invece si lavora per “recuperare” e chissà ingrandire il Ferraris.
Ha ragione l’editore di Primocanale, Maurizio Rossi (LEGGI QUI) quando denuncia questa scelta incongruente e ora, dopo le violenze di mercoledì, inaccettabile.

Si dirà: e dove lo mettiamo? Giusto. Trovi una soluzione chi governa la città visto che sembra impossibile riuscire a garantire sicurezza a meno di vivere col coprifuoco. Quanto costa anche in termini “monetari” una nottata come quella che abbiamo visto mercoledì? Dunque pensiamoci bene prima di progettare ingrandimenti in un quartiere stretto e popoloso già abbastanza generoso nei confronti di altre zone della città. Vogliamo i servizi? Giusto, ma ognuno se ne faccia carico, pro quota.