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di Luigi Leone

La coerenza dell’incoerenza. Sembra proprio questa la posizione politica più gettonata dal movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte. Dunque: il cosiddetto campo largo, cioè l’insieme delle forze di opposizione in Regione Liguria, diventa un po’ meno largo. Perché Italia viva alla fine di un lunghissimo negoziato si sfila. “Lasciamo piena libertà di voto” dice Raffaella Paita, plenipotenziaria del partito voluto e guidato da Matteo Renzi.

Il motivo dà ragione a Conte, uno pensa. Cioè: il leader stellino (con Beppe Grillo siamo ormai agli stracci, non me la sento di definirlo ancora grillino) è coerente con i molti dinieghi pronunciati verso Renzi, colpevole ai suoi occhi di aver sputato talmente tanto veleno sui Cinque Stelle da non poter pretendere, adesso, di essere un alleato sotto l’insegna del centrosinistra. Ci sta.

E invece no. No, perché Italia viva aveva accettato praticamente ogni cosa (niente simbolo, nessun candidato diretto) pur di accasarsi insieme con i Cinque Stelle a sostegno di Andrea Orlando. Poi, però, Conte ha pure storto il naso sui candidati che Iv voleva schierare. E’ stato troppo. Per Renzi e soprattutto per Paita, alla quale non sarà neppur parso vero di sottrarsi all’abbraccio ritenuto mortale dei grillini (quanto ad Orlando, ci sono le cronache di molti anni a dire che non c’è alcuna tenerezza politica fra i due).

Insomma, siamo passati da un Renzi che in Comune a Genova sta dentro la giunta di Marco Bucci ma non vuole sostenere Bucci medesimo se si candida presidente della Regione, a un Conte che sembra dire di sì a un campo largo che comprenda Italia viva, ma poi vuol scegliere lui pure i candidati di quella parte politica. E dai!

Mica è finita. Sul Decimonono, il capogruppo in Regione dei grillini, Fabio Tosi, annuncia che si candiderà in una delle liste civiche di Andrea Orlando. Ma come, Tosi non si era presentato nel movimento che diceva due-mandati-non-più-di-due? E lui non era al secondo mandato? Sì, sì, però “la gente mi ferma per strada e mi chiede di andare avanti”. Si possono dire tanti no, però non alla gente…

Personalmente, non ho mai condiviso quel limite. Tosi è un grillino che ha fatto bene l’opposizione, che pratica l’onestà intellettuale e che sa riconoscere le ragioni dell’avversario. Però a queste doti non unisce, almeno nella circostanza, la coerenza. Di più: è la coerenza dell’incoerenza elevata a sistema.

A meno di non ritenere che uno come Roberto Fico sia un cretino. L’ex presidente della Camera ha fatto due mandati, poi se n’è tornato a casa come da regola, tuttavia non ha smesso di fare politica. Condivido perfettamente che certe esperienze, da Fico a Tosi, non è giusto gettarle nel cestino e vanno, anzi, valorizzate. Ma se hai preso i voti nel nome di determinati comportamenti, o quei comportamenti li pratichi oppure non sei più credibile.

Una credibilità che tanti, nel centrodestra, sembrano aver smarrito a proposito dell’ex governatore Giovanni Toti. Finché è stato in auge, tutti a tesserne le lodi e ad animare il suo partito. Ma al primo vero inciampo, eccoli prendere le distanze.

Così, salvo rare eccezioni, è diventata una corsa a indossare altre casacche, a tornare alle precedenti e a marcare, soprattutto, una visibile discontinuità. Fra un po’ totiani diventati ex totiani avranno conosciuto Toti solo di sfuggita. Insisto: e poi ci si stupisce se il partito degli astensionisti cresce?