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Lascio Beirut, città che ho profondamente amato, complessa e splendida, lascio casa, senza sapere se e quando potremo tornare.
Più che paura per me, visto che non ho mai corso rischi oggettivi, sono stato terrificato di sperimentare di quale brutalità é capace la nostra umanitá, di capire cosa vuol dire avere la guerra a casa propria, invece che in quella degli altri. E l'unico rimedio che trovo per ora è parlarne.

Parto con il cuore spezzato, per questa terra martoriata, per questa povera gente che solo chiede di condurre un’esistenza normale ed è invece costretta a fuggire continuamente, abbandonare tutto, e ricominciare da capo ogni volta, senza alcuna colpa.

Bambini che tendono le orecchie ad ogni tonfo sordo delle bombe, famiglie a cui resta solo lo zainetto che portano in spalla, visi tirati dopo notti insonni al cellulare a capire che piega prende, che strada fare.

Parto con gli occhi gonfi, per il senso di atterrimento e la paura di fronte al ruggito della potenza delle armi che si abbatte dal cielo sulla città inerme, come il fulmine (“the mighty power” qualcuno lo ha chiamato ma non è certo quello di Dio). Con nelle orecchie il ronzio dei droni che rimarcano insistentemente la superiorità della tecnologia militare sulla fragilità umana.

Parto attonito, incredulo, della follia dell’umanità, del cinismo del potere che stritola vite da ogni parte senza ritegno, che annuncia la morte in diretta e la realizza con cieca intenzione a condizione di vincere, di dominare. Non l’avevo mai sentito cosi da vicino.

Parto ferito dalla ferocia dei miei simili, il nemico che ti bracca, non ti da tregua, non ti permette di recuperare le forze, di rimetterti in piedi, di tirare il fiato, colpendo ancora ed ancora. Violenza che non può che chiamare solo altra violenza.

Parto disgustato, complice, di un occidente cinico, che parla di cessate il fuoco mentre finanzia lautamente con i soldi delle nostre tasse gli armamenti che oggi piovono sulla testa di questa gente, domani un’altra. Senza capire il prezzo in credibilità che pagheremo, - soprattutto noi europei - per decenni. E mentre, allo stesso tempo, non si trovano gli spiccioli che servono per comprare i materassi e dare cibo agli sfollati.

Parto con un misto di colpa e di gratitudine verso chi rimane, per scelta o per dovere, chi tutti i giorni continuerà a svegliarsi la mattina per fare il suo lavoro, chi si rimboccherà ancora una volta le maniche per accogliere ed assistere i suoi simili, senza clamore. Con l’angoscia e la paura di tutti i miei amici e colleghi per un futuro incerto.

Parto con la convinzione che sta a ciascuno di noi, nel piccolo e nel grande, ripudiare questa cloaca che è la guerra, e restare umani.

 

Luca Pellerano - Vive a Beirut dal 2019 dove lavora per una organizzazione internazionale