Le nostre democrazie devono affrontare sistematicamente una serie di dilemmi la cui soluzione richiede una notevole perizia nell’arte del governo e della politica. Uno di questi riguarda il modo di intendere il ruolo della “vox populi” e della rappresentanza. Tale dilemma si presenta in modo particolarmente acuto nell’epoca contemporanea, dal momento che i diversi leader politici sono soliti inseguire in modo quasi compulsivo, in vista di una ricerca parossistica di un consenso immediato e privo di mediazioni, gli umori che emergono dai sondaggi quotidiani presso l’elettorato.
In effetti esistono due modi opposti di intendere la rappresentanza politica nelle democrazie, tali da costituire appunto uno dei dilemmi di cui si è appena parlato.
Da un lato, la si può intendere, richiamandosi in modo letterale al principio della sovranità popolare, come puro e semplice rispecchiamento delle volontà e delle domande dei cittadini e degli elettori. Si lega strettamente a questa concezione l’istituto del mandato imperativo, in base al quale i rappresentanti dovrebbero limitarsi a rispecchiare in modo fedele e preciso le indicazioni provenienti dai diversi settori della società cui debbono la copertura della loro carica.
Dall’altro, si può adottare una nozione di rappresentanza intesa come responsabilità, ovvero come capacità di intraprendere strategie e indirizzi politici che guardano all’interesse di una comunità politica più a lungo termine, anche a costo di esser impopolari nell’immediato. Intesa in questo modo, essa implica l’assegnazione di un certo grado di discrezionalità da parte dei rappresentanti rispetto alle volontà e alle richieste del momento dei rappresentati. Tale visione pone inoltre l’enfasi sul ruolo guida e quasi pedagogico dei rappresentanti nei confronti dalla pubblica opinione.
Entrambe le nozioni di rappresentanza presentano pregi e difetti.
In date situazioni è bene infatti che i governanti, o gli aspiranti tali, rispondano rapidamente e in modo sostanzialmente fedele alle richieste della cittadinanza o di una sua parte. Si pensi alla soluzione di particolari emergenze, o alla predisposizione di particolari misure, come la costruzione di infrastrutture e organizzazioni legate ai bisogni essenziali e urgenti di una comunità (scuole, strade servizi sanitari, ecc.). Del resto, anche le più consolidate democrazie liberali e rappresentative prevedono, seppur in diversa misura e in diversi ambiti decisionali, la possibilità di affidarsi a forme di democrazia diretta, come nella Svizzera, negli Stati Uniti, e nel nostro stesso paese (tramite la possibilità di ricorrere a referendum abrogativi). Proprio gli Stati Uniti, segnatamente la California, hanno mostrato anche i limiti di una applicazione estensiva dei meccanismi referendari e della democrazia diretta, dal momento che, applicato alle materie fiscali, tali procedure hanno provocato una drammatica crisi fiscale di quello stato che ha finito per pregiudicare in buona parte la fornitura adeguata di beni pubblici fondamentali.
Proprio per l’imitare l’impatto di tali miopie, ed evitare quindi di compiere scelte irrazionali e a lungo andare controproducenti, sono state adottate misure istituzionali tese a proteggere i decisori dalle spinte impulsive dell’opinione pubblica e a valorizzare anche le loro competenze specifiche in sfere decisionali particolarmente complesse. Da qui l’indicazione, come nel nostro testo costituzionale, di assegnare in capo ai membri del parlamento e del governo uno spazio di discrezionalità e di libera interpretazione dei bisogni della società. In questa prospettiva si potrebbe sostenere che gli elettori abbiano maggiormente il ruolo di valutare e giudicare gli obiettivi e i risultati finali di determinate politiche pubbliche piuttosto che quello di definire nei dettagli i mezzi più appropriati per conseguire entrambi. Anche questa seconda accezione della rappresentanza, tuttavia, può condurci a esiti problematici. Sino a che punto infatti i rappresentati possono essere “sordi” alle domande dei cittadini? Quanto l’“impopolarità a fin di bene” può essere sostenuta e tollerata”? Talvolta l’alibi delle responsabilità può portare a giustificare il distacco delle élite politiche dai sentimenti e dalle richieste di molte parti della società, creando uno iato tra queste ultime e le istituzioni.
Come sciogliere questi nodi, come risolvere, in altre parole, questo dilemma? Scegliendo di adottare in modo unilaterale una delle due accezioni? In realtà questo dilemma, come molti altri simili, evidenzia come i sistemi democratici non possono permettersi di assolutizzare unilateralmente molti dei valori e dei principi che teoricamente stanno alla loro base (come ad esempio quelli di uguaglianza e libertà). Si tratta invece di trovare un compromesso e un equilibrio tra di essi. Tali equilibri sono spesso da trovare volta per volta, poiché le situazioni cambiano e si evolvono: si tratta infatti di equilibri per loro natura dinamici. L’arte del governo e della politica consiste, tra le altre, proprio nella capacità di predisporre accorgimenti istituzionali flessibili che rendano più facile la conciliazione di valori che sono talora contraddittori, ma comunque legittimi, quali il principio della sovranità popolare e la garanzia di efficacia delle scelte pubbliche.
Giampiero Cama*
Università di Genova
Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali
IL COMMENTO
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