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di Mario Paternostro

Chi è in Liguria il leader del Partito degli Astensionisti? Non si sa. Quale è il programma di questo grande, grandissimo partito? Non si sa. Da chi sono finanziati? Da nessuno. Chi sono i candidati? Non ci sono.

Un bel pasticcio se, ancora una volta, e sarà così dalle previsioni e dall’andamento ormai costante delle elezioni, gli Astensionisti cioè l’enorme massa di chi non va a votare, saranno il primo partito come forza percentuale. Non hanno bisogno di coalizioni. Non temono sgambetti o peggio, tradimenti. Non fanno gaffe. Sono monolitici.

Alle ultime elezioni europee, in Liguria il movimento dei “non votanti” ha sfiorato il 50 per cento, alle comunali genovesi del 2022 aveva raggiunto il 55 per cento, mentre alle europee del 2020 gli astensionisti erano al 47 per cento. Insomma, con qualche oscillazione in su o in giù, ma il “partito” di chi ha scelto di non andare alle urne a dare il suo voto, cioè a scegliere che politica si deve fare, è sempre il primo in assoluto, davanti a Pd, Fratelli d’Italia e Cinquestelle. Una situazione che non è solo italiana , ma europea.
In ogni caso chi sono gli astensionisti?

Individuarli non è facile. Li trovate a fianco a voi sull’autobus, andando al mercato a fare la spesa, in ufficio, a sciare in Val d’Aosta, a fare i bagni a Priaruggia. Probabilmente fino a oggi c’erano un notevole numero di giovani, che da anni si sono allontanati dalla politica quando si sono resi conto sulla loro pelle che la politica era responsabile dei loro guai: mancanza di lavoro, pochi sostegni. Indifferenza insomma.
Ora, forse, qualcosa sta cambiando.

Poi ci sono quelli del “non voto perché sono tutti uguali”. E allora? Che cosa significa che la politica è tutta uguale? Oggi non è così. Nella modesta campagna elettorale ligure le due aree, destra e sinistra, mi pare siano molto differenti, avendo anzi accentuato agli estremi le loro originarie posizioni.

“Non voto perché non serve a niente”. Giustificazione di comodo.

Il peggio è quando si capta la frase “Non voto perché non so per chi votare”. In questo caso la questione diventa più complicata perché tra partiti e liste civiche o personali non c’è che l’imbarazzo della scelta. Tutto il mondo è rappresentato.

Ma ritorniamo al grande partito. Il fatto che sia da tempo il vincitore assoluto, e lo sarà sicuramente anche lunedì quando vedremo i risultati, obbliga i politici a approfondire l’argomento, cioè a fare un lavoro meticoloso, matematico, per capire dove e chi non va a votare. Non infischiarsene liquidando il nodo con la frase “Ormai è così in tutta Europa e non soltanto…”. E’ dovere della politica vera, seria, antica, comprendere perché, per esempio, molti operai hanno lasciato la sinistra, e, analogamente, perché molti medio-borghesi che rinforzavano le fila del centro, cioè dove ce ne era per tutti i gusti, non riescano a trovare un’area per loro.

Infine una questione politicamente non secondaria: dove finiscono i voti dei cattolici? Quelli che nutrivano le fila della Democrazia Cristiana pluri-correntizia, con offerte che andavano dalla destra alla sinistra passando per il centro dei cosiddetti “moderati”? Su questo tema, spesso evocato, ma stranamente subito abbandonato quasi fosse un argomento tabù, sarebbe da aprire davvero un grande approfondimento. Sparsi tra tutti i partiti?
Insomma varrebbe davvero la pena di fare un sondaggio non tra chi vota, ma tra chi da anni non va a votare.