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La pazienza è finita pronti allo stato di agitazione e allo sciopero
4 minuti e 21 secondi di lettura
di Silvestro Scotti*

“Ritorno al futuro”: in questa frase è racchiuso tutto quello che vogliamo esprimere e che è reso in sintesi nelle immagini che rappresentano il Congresso di quest’anno. All’inizio della nostra storia, il medico raggiungeva per strade impervie il proprio ambulatorio o il domicilio del proprio paziente usando tutti i mezzi disponibili e, prima il cavallo e il calesse, poi il motociclo e infine l’auto, erano gli unici supporti che insieme alla propria borsa di strumenti e conoscenze, gli consentivano di portare in prossimità risposte ai bisogni di salute. Un medico che, con le risorse disponibili nel proprio contesto storico, ha sempre saputo adattare la sua azione alle persone, ai luoghi, ai modelli culturali, sociali, in sintesi, alla vita dei propri pazienti. Questo spirito, questi valori sono imprescindibili per una vera funzione di assistenza primaria.

Da qui la parola “Ritorno” come continuità, come solidità, come resilienza di una professione che vuole cambiare sapendo mantenere i principi che sono alla base della tipica relazione medico paziente nella medicina generale, una relazione di scelta e di fiducia, personale e familiare, individuale e collettiva. Il “Futuro” con il cavallo che diventa robotico, raffigura la convinta adesione ai nuovi strumenti che si stanno rendendo disponibili attraverso il progresso organizzativo e digitale dell’offerta assistenziale. “Futuro” che deve però rimanere nella guida salda di quel medico che, forte di nuovi strumenti e conoscenze, continua a tenere le briglie e quella borsa, per significare la primarietà dell’azione umana e professionale su quella tecnologica. Negli ultimi anni ci si sta concentrando sulla possibilità di proporre modelli per il Territorio che possano risolvere i bisogni con una modalità univoca, che però appare esclusiva, poiché, troppo spesso, non tiene conto della variabilità dei nostri territori, della nostra gente, delle nostre comunità. Egualmente, non si tiene conto della capacità adattiva mostrata, in tutti questi anni, nella evoluzione degli Accordi Collettivi Nazionali della Medicina Generale. Siamo passati dalla notula alla quota capitaria, dal medico singolo al medico in rete e/o in gruppo fino alle Aggregazioni Funzionali Territoriali, oggi assimilabili grazie alla sede di riferimento, alle Case di Comunità Spoke. Ancora, le Unità Complesse di Cure Primarie dimostrano la volontà di integrazione con le altre figure professionali convenzionate, presenti nell’offerta di assistenza territoriale. Tutto questo è stato rafforzato e reso coerente con la necessità di evolvere il sistema di assistenza territoriale secondo gli obiettivi del PNRR, resi compatibili con la funzione convenzionata dei medici che operano sul territorio. (…)

Qualcuno tenta di farci apparire i responsabili del mancato raggiungimento di obiettivi di programmazione regionale, nazionale, PNRR, e chi più ne ha più ne metta. Anni fa, prima della pandemia, avevamo iniziato una manifestazione di protesta, che avevamo chiamato “Adesso basta”, trasformata poi in proposta di soluzioni di sviluppo tecnologico degli studi di medicina generale partendo dalle aree interne e disperse. 10.000 Km percorsi per dimostrare che si poteva fare e ne abbiamo ricavato uno strumento legislativo di sostegno finanziario all’evoluzione della diagnostica nei nostri studi: sostegno a tutt’oggi non ancora erogato.  Pertanto, oggi “Adesso basta” torna ad essere una protesta, ritorna a essere il grido di una categoria che aveva già all’epoca segnalato i disagi e i rischi che poi si sono realizzati.

Desertificazione sanitaria, riduzione del numero di medici di famiglia da 43 mila a 37 mila, perdita di interesse all’accesso alla Formazione Specifica in Medicina Generale, fenomeni che, insieme, stanno determinando la impossibilità a rispondere alle esigenze assistenziali delle aree interne e delle periferie delle grandi città. I dati sulla carenza dei medici erano chiari e prevedibili e li abbiamo denunciati negli ultimi 15 anni, ricavandone soluzioni temporanee e parcellari mentre continuano ad aumentare i carichi di lavoro e un maggiore impegno ai limiti della sostenibilità. Impegno che si dovrebbe dedicare all’implementazione della prevenzione primaria e secondaria, e della domiciliarità visto il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento della cronicità, veri e propri tsunami per la sopravvivenza e sostenibilità del SSN. Eppure, qualcuno ritiene che si possano ricavare da questa categoria ulteriori impegni senza dare risposte, sostegno, né apprezzamento a chi ogni giorno, anzi ogni minuto, si confronta con volumi di richieste ormai insostenibili, dirette indirette, proprie e improprie, cliniche e amministrative e colmo dei colmi perlopiù mera e semplice burocrazia. Si continua a vendere la legenda dei fannulloni che lavorano poche ore al giorno, senza mai confrontarsi con la immensa produzione di atti di sanità pubblica sostenuti da questa categoria. (…)

La categoria dei medici di famiglia è in grande sofferenza ma ha ancora le energie per farsi ascoltare, forte di vecchie e nuove esperienze, senso di appartenenza, della credibilità di professionisti che percorrono le stesse vie dei loro pazienti. Siamo pronti ad applicare le prerogative sindacali, dallo stato di agitazione allo sciopero, facendo capire ai nostri pazienti che è in gioco non un interesse di parte ma la salvaguardia un diritto collettivo costituzionale che dia un futuro: a noi, ai nostri pazienti, al nostro SSN e ai giovani che oggi hanno partecipato al Concorso per diventare Medici di Famiglia. A tutti questi vogliamo mandare un messaggio: il nostro futuro non è scritto, il futuro di nessuno è scritto. Il futuro è come lo creiamo.

*Silvestro Scotti, segretario nazionale della FIMMG
Pubblichiamo uno stralcio della sua relazione al Congresso nazionale FIMMG-Metis di Villasimius (Cagliari)