C'è molta luce che filtra dai mosaici delle grandi navate della basilica dell'Annunziata a Genova nella mattina di Natale. Sono le 9.30 del 25 dicembre. Fa freddo, ci si scalda con i primi sorrisi. Gli uomini sistemano i tavoli, impilano le sedie, spostano cassette di viveri. E' il tempo dell'arrivo dei volontari: una ottantina circa, nella basilica, per accogliere i 350 ospiti al pranzo di Natale della Comunità di Sant'Egidio. Alla registrazione - anche per chi è alla sua prima volta come me - sanno già il tuo nome, lo appuntano sul tuo petto, fai subito parte della loro famiglia. Si ascoltano le direttive di Roberta che organizza, divide, assegna ruoli e ricorda le regole del gioco: mai prender l'iniziativa perché la macchina funziona mantenendo le mansioni assegnate, restare fino alla fine perché se si è tutti insieme si fa prima a ritirare, e snocciola i nomi di chi starà in cucina, chi farà il trasportatore da lì alla sala, chi dividerà le porzioni e le impiatterà, gli addetti al vino, i camerieri, i babbi Natale. Ai camerieri - ognuno ha un tavolo assegnato - spetta il ruolo di servire, certo, ma anche di far compagnia, se c'è posto sedere con loro, essere commensale del pranzo di Natale, come in famiglia.
Tavoli apparecchiati per 350
L'arrivo in sala è la prima emozione. In pochi minuti la chiesa si trasforma in una sontuosa sala da banchetti. Stendiamo tovaglie di damasco bordeaux, piatti dorati e fazzoletti di carta sistemati a mo' di fiore, al centro una stella di Natale. Capisco subito che per arrivare a quello, qualcuno ha lavorato incessantemente e con precisione per molto tempo. A tavola basta poco per fare festa e allegria. Davanti a ogni seduta, un segnaposto dove verranno scritti i nomi dei commensali. Servirà per riconoscersi e fare amicizia una volta accomodati. Alle 12.30 tutti i camerieri sono pronti davanti all'uscio, a creare un corridoio di abbracci d'ingresso, è il momento più emozionante. Stanno arrivando gli ospiti.
Ucraina, Ecuador, e tanti italiani
Batte il cuore, sapremo accoglierli? Per prime entrano due signore, forse ucraine, e poi ancora una famiglia di persone sudamericane. Sono bellissime, penso, vestite da festa, truccate, tra loro una urla sorridendo: "Grazie, grazie, grazie e tanto bene a tutti". Ognuno conosce il numero del suo tavolo, i camerieri possono così scortarli al loro posto e farli accomodare. Arrivano i senza fissa dimora, sembrano di casa. Tra loro c'è chi è sbarbato di fresco, si abbraccia con una volontaria che gli fa i complimenti per il nuovo taglio, un ragazzo ha il suo cane con sé, un molosso, dice sorridendo "è invitato anche lui", un uomo trascina una grossa valigia, una signora si aiuta con il suo carrellino per camminare. E poi tanti passeggini, famiglie, anche numerose. Sono dell'Ecuador, almeno così mi sembra, dei paesi dell'est, tanti italiani. Ci sono le persone della scuola di italiano, dei centri di accoglienza del centro storico. Qualcuno ha la testa bassa, ci passa davanti con timore, i volontari esperti prendono subito sottobraccio chi pare più insicuro e dicono: "Venga, so io qual è il suo posto". Ci sono poi tanti amici, è una festa perché si conoscono e si riconoscono. Si abbracciano e si accomodano. Sono seguiti da educatori e assistenti, che li accompagnano ai tavoli come se fossero a casa. Qualche signora dell'est chiede di cambiare tavolo, vuole stare accanto a quell'amica. Sembra proprio di essere a scuola, o in famiglia.
Ogni tavolo tante storie diverse
Il mio tavolo è il numero 11, nella navata centrale, proprio al centro della sala. Arrivano Giovanni e Giuseppe, Roberto, Daniela, Immacolata. Sono tutti italiani, hanno storie difficili alle spalle, le raccontano col sorriso. Chi ha navigato una vita e ora si trova a vivere con 600 euro di pensione, chi ha combattuto con le dipendenze o con una malattia senza una famiglia ad aiutare, chi ha a casa il marito malato e per ogni piatto dopo aver mangiato chiede qualcosina in più, da portare a lui, che non ha potuto muoversi. Per fare Natale basta poco. Una porzione di lasagne avanzata, datteri e noccioline, una fetta di pandoro e una banana nella borsa. Una donna silenziosa arriva in ritardo, si siede e dice di non aver fame, è venuta per un po' di compagnia. Basteranno pochi minuti per rassicurarla, e farle gustare l'insalata russa, le lasagne, l'arrosto con le verdure. "Io tanti anni fa venivo qui ad aiutare, e adesso…", mi dice sottovoce.
E le guance diventano rubiconde
Monsignor Tasca (dopo i saluti iniziali con il governatore Bucci, il sindaco reggente Piciocchi, l'assessore Costa e Andrea Chiappori di Sant'Egidio a fare gli onori di casa) si siede tra noi. E' al tavolo con una famiglia sudamericana, dal piccolo nuovo nato al nonno. Tra una portata e l'altra gira tra i tavoli e l'attesa del suo arrivo è un'emozione nell'emozione. Chiede a tutti da dove arrivano, come stanno, il suo conforto lascia nell'aria una scia di amore difficile da descrivere. I "sommelier" girano tra i tavoli servendo il vino, i miei compagni di tavolo lo aspettano con gioia. Ancora un goccio, è Natale. E poi ancora il bis, "queste lasagne sono buonissime". Eva - mi esortano, loro sì, esperti - "vai, vai a prendere i piatti che c'è la coda". "Le verdure? Non mi piacciono, ma se mi porti ancora un po' di arrosto le mangio". C'è chi il bis anche no: "Mi viene la pancia". E poi: "Il pane, che buono, ce ne è ancora?". "L'anno scorso non sono riuscito a venire, non stavo bene, ma quest'anno non me lo sono perso". Tra i nostri c'è chi è entrato con la faccia bianca, a metà pranzo ha già le guance rubiconde, e un sorriso più marcato. Ecco basta poco, penso mentre gli porto il bis di secondo.
Regali e abbracci
A fine pasto la festa nella festa, arrivano i babbi Natale. Sono i volontari più giovani, hanno studiato la coreografia, durante il pranzo si sono nascosti a impacchettare i doni. Ogni tavolo ha un suo sacco di regali, su ogni pacchetto c'è il nome di chi lo riceverà. Sciarpe e foulard, calze calde, profumi, giochi per i piccoli, come per magia a tutti arriva un pacchetto speciale e azzeccato. Si è un po' più famiglia alla fine del pasto e ci si abbraccia e bacia, con la promessa di rivedersi tra un anno esatto. E come all'ingresso, c'è chi scappa quasi a non farsi vedere, chi fa il giro dei tavoli a salutare gli amici, chi resta seduto finché tutto non è stato ritirato per stare ancora un po' in compagnia. Come a casa, come una grande casa.
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