La notte di Natale, nell’omelia durante la messa per l’apertura della Porta Santa e l’inizio del Giubileo, papa Francesco ha spiegato ancora una volta che cos’è la speranza: "non è un lieto fine da attendere passivamente, ma […] ci chiede di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle" e ha parlato della necessità di lasciarsi "inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia".
Il lavoro di millecinquecento volontari per i pranzi di Natale
Ripensavo a queste parole il 25 dicembre, mentre assistevo al lavoro dei millecinquecento volontari che, con Sant’Egidio, hanno realizzato i pranzi di Natale per tante persone a Genova: anziani, senza dimora, nuovi europei, famiglie in difficoltà. Diecimila persone si sono sedute a tavola in tutta la città: nei luoghi più centrali, come palazzo Tursi, ma anche nelle estreme periferie, dove spesso la vita è più difficile.
E questo numero – diecimila – non può non far pensare quante ferite esistono, mimetizzate nelle pieghe delle nostre città. Non può non farci pensare agli altri, alle persone che ancora non abbiamo raggiunto e che attendono una parola, una mano tesa. Eppure l’immagine di Natale è stata un’immagine luminosa. Come quella scattata alla fine del pranzo di Natale nel quartiere di Cornigliano: una cascata di vita che scende dalle splendide scale di villa Bombrini, fatta di giovani, bambini, anziani, italiani ed immigrati.
L'immagine della città che vorremmo
È un’immagine della città come la vorremmo e che incoraggia il lavoro di chi – tra loro tantissimi giovani – sceglie di dare il proprio contributo per arginare il tracimare della durezza e della disumanità. Un’immagine che, senza troppe parole, afferma che, insieme, è possibile rendere più bella questa città: le cose cambiano se la smettiamo di lamentarci, ma impariamo a sdegnarci per le cose che non vanno e ci mettiamo in movimento per correggerle. Tutto l’anno.
*Responsabile comunità Sant'Egidio Liguria
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