La memoria a una certa età, fa brutti scherzi. Dunque meglio raccontarla, quella che resta, farla conoscere ai giovani che hanno voglia di ascoltarla, riproporla ai nostri coetanei che poi, logicamente, faranno i confronti con l’oggi. Ecco, così, che da domani, lunedì, alle 22.30 torna su Primocanale “Ti ricordi?”, la serie che curiamo Franco Manzitti e io, sul nostro passato abbastanza recente.
Siamo alla seconda serie. L’anno scorso vi avevamo proposto alcuni fatti drammatici. Dal sequestro Br di Piero Costa in Spianata Castelletto, alla tragica vicenda della giovanissima Milena Sutter rapita in via Peschiera, uccisa e gettata in mare, dedicando poi altri spazi alla politica, con la fine dei partiti storici (ahimé, che rimpianti in questi giorni…) e alle vicende del porto.
Anche questa seconda seria sarà un viaggio nella memoria di trenta, quaranta, cinquant’anni, alla ricerca delle grandi e piccole storie e dei personaggi che hanno caratterizzato quel periodo, a Genova.
Si comincia dagli anni di piombo
Cominceremo ancora una volta dagli “anni di piombo”, il periodo dai primi anni ’70 ai primi anni ’80, che vede Genova tremendo palcoscenico del terrorismo. Racconteremo il sequestro-lampo di Filippo Peschiera, una storia emblematica sia per i personaggi coinvolti, sia per il coraggio che dimostrò il professore e esponente di spicco della Dc progressista.
E’ il 18 febbraio del 1978, annus horribilis: pochi mesi dopo ci sarà a Roma il sequestro e l’assassino di Aldo Moro. Il fatto è avvenuto verso le 19, in via Trento, dove ha sede, in una villa ottocentesca, la Scuola di Formazione superiore, un istituto di ricerca che Peschiera dirige dal 1968 e che è finanziato dall'Associazione Industriali di Genova, dal Comune e dalla Provincia. Cinque brigatisti, quattro uomini e una ragazza giovane, l'unica che non ha il volto coperto da un passamontagna, hanno fatto irruzione nell'istituto, poco prima della chiusura. Nella scuola, oltre il prof. Peschiera, c'erano alcuni collaboratori. I brigatisti, con le pistole in pugno, hanno ammassato i collaboratori in una stanza, mentre altri, tra i quali uno che sembrava il capo, hanno affrontato il prof. Peschiera nel suo studio.
“Lo so che mi dovete sparare: fatelo. Sappiate però che siete senza speranza”. Con questa battuta il prof. Filippo Peschiera, ha chiuso un breve e serrato dialogo con il commando di brigatisti rossi che lo ha sequestrato all’interno del suo istituto. Il capo dei brigatisti poi sparerà quattro colpi, tre dei quali feriranno il professore alle gambe. Peschiera ha 48 anni , sposato, senza figli, libero docente di diritto del lavoro, leader della corrente democristiana di Forze Nuove dall'inizio degli Anni Settanta. E’ senza dubbio , uno dei politici “senza macchia” della città.
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Succede che i brigatisti iniziano a “processarlo” con le solite frasi-slogan: servo dell’imperialismo eccetera eccetera, ma il docente li incalza, e trasforma il processor Br in un vero e proprio esame politico con tanto di voto finale. Una sonora bocciatura.
Lo racconterà lui stesso. “Mi sono ricordato di Casalegno, che apprezzavo moltissimo pur non conoscendolo”, dice agli amici sulla barella del pronto soccorso. Ammette di aver temuto che qualcuno, perdendo la testa, si mettesse a sparare all'impazzata. Capisce che vogliono colpirlo, allora chiede: ”Mi sparate per quello che ho scritto o per le mie idee?”. “Per la tua militanza”, è la fredda risposta. Ma i brigatisti sembrano imbarazzati. “Certo – aggiunge Peschiera ai brigatisti - io sono un riformista convinto. Vorrei però poter parlare non con voi, ma con i vostri capì, con chi vi manda, per poter capire”. A questo punto il capo pare abbia detto che il professore “la sapeva troppo lunga”. Due dei terroristi armeggiano. Scrivono qualche cosa su un cartello. “Che cosa scrivete” chiede con coraggio al limite dell’incoscienza il sequestrato,. “Il capo mi ha risposto che, sì, preparavano un cartello: la stella con le iniziali Br e sotto, servo dello Stato imperialista e delle multinazionali. Bene, mi sono detto, questa è follia. Mi hanno fotografato. Ho capito che era giunto il momento dell' esecuzione. Non ho avuto paura. Non so, sono attimi difficili da raccontare e da ricordarsi. Ho pensato a mia moglie. Però ho sorriso e gli ho detto che erano dei disperati. Hanno sparato”. Poi sono scappati. Per fortuna Peschiera viene subito soccorso e portato all’ospedale di San Martino.
“Per me sono finiti, disperati. Scrivetelo. Non sanno quello che fanno. Ma bisogna capire”. E a posteriori ha ragione. Nei mesi successivi ci saranno ancora vittime, una fra tutte a Genova segna proprio la fine del brigatismo rosso. E’ Guido Rossa.
Il prof Peschiera
La vicenda di Peschiera è simbolica, racconta un pezzo di quegli anni tormentati e pericolosi. Anche per il personaggio che era il professore. Cattolico convinto, ha tenuto testa nel 1968 al cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, al quale peraltro era assai affezionato. La vicenda merita di essere ricordata. Il prof. Peschiera, nel 1964, era stato nominato direttore dell'Istituto di scienze sociali, una fondazione che, sotto la presidenza onoraria del cardinale Siri, era stata realizzata con i fondi delle maggiori aziende Iri di Genova: Ansaldo, Italsider, ecc. L'ambizione era forse di creare un’ università alternativa, un ateneo per le scienze sociali, simile a quello che stava sorgendo a Trento, di ispirazione cattolica. Peschiera, però, non intendeva farne una scuola di dirigenti integrati e manovrabili. Dopo quattro anni di successi e di corsi e iniziative cui avevano preso parte i più illustri docenti italiani, Peschiera era alla testa d'una scuola dove l'impronta cristiana era intesa in senso giovanneo, del confronto e della partecipazione di chi cristiano e cattolico non era. Bastò questo per provocare il suo siluramento. Peschiera sfidò l'ambiente cattolico tradizionalista, non rinnegando il proprio operato e lasciando l'istituto in aperta polemica con il cardinale Siri.
Tutto questo lo racconta nelle due puntate di “Ti ricordi?” una questa settimana, la seconda la prossima, Sandro Levrero , un altro esponente di spicco della nuova Dc, che sarà il nostro primo ospite. Levrero è stato anche l’ultimo amministratore dello Scudocrociato genovese.
Del commando Br che sequestrò e ferì Peschiera facevano parte i membri della temibile colonna genovese, una delle più feroci nella storia degli anni di piombo. Tra questi Livio Baistrocchi, il brigatista che, probabilmente gli sparò.
Chi era Baistrocchi
Sulla testa di Baistrocchi pende ancora oggi una condanna all’ergastolo. E’ latitante da oltre 40 anni. La copertina del libro di Sergio Luzzatto sulla storia delle Br genovesi è un’ elaborazione grafica di una foto di Viktor Bulla, realizzata da Carlo Rocchi, uno pseudonimo dietro al quale si celava proprio Baistrocchi, ex di Potere operaio, artista di formazione.
Militante del Pci in prima gioventù e poi di Potere Operaio, fece parte delle Br dalla loro costituzione.
Il suo nome di battaglia nell'organizzazione era "Lorenzo".
Sembra che Livio Baistrocchi, nonostante l'attività terroristica armata, cresciuta di mese in mese, non fosse ancora noto agli inquirenti, e che il suo nome sia emerso solo dopo la disgregazione della colonna di Genova, grazie alle testimonianze di una serie di brigatisti che collaborarono con le forze dell'ordine.
Baistrocchi non fu coinvolto nella tragico blitz di via Fracchia che annientò la colonna genovese delle Br. Scelse, all’inizio degli anni Ottanta, di abbandonare le Brigate Rosse e riuscì a fuggire, scomparendo, facendo perdere completamente le sue tracce, probabilmente rifugiandosi all'estero.
Condannato all’ergastolo non si hanno più sue notizie.
Filippo Peschiera è mancato nel 2019 a 88 anni.
La Democrazia Cristiana è finita nel 1994.
*Ecco la programmazione di “Ti ricordi?”: lunedì 22.30, martedì 16.45, mercoledì 18.40, giovedì 23.30, venerdì 15.05, sabato 19.45, domenica 12.00.
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