Dunque Vladimir Vladimirovic attacca l’Italia, minaccia ripercussioni “irreversibili” (sic!) nei confronti del nostro Paese, nonostante le indimenticabili iniziative intellettuali di “Iosif” Povia. Le incazzature dei dittatori non cambiano mai. Ricordate le magnifiche espressioni di Adenoid Hinkel, alias Charlie Chaplin nel “Grande Dittatore”? Ecco, allora riguardatevi Vladimir calato nel cachemire e nella folla dello stadio moscovita. E rileggete il discorso, non quello di Vladimir, ma quello di Adenoid. Straordinaria e intelligentissima satira del nazismo imperante, che nel 1941 ottenne cinque nomination al premio Oscar.
Ecco l’incomincio: “Mi dispiace, ma io non voglio fare l’Imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti se possibile…”.
Le minacce del capo russo mi preoccupano assai. Saremo senza gas e al freddo, senza petrolio per muoverci sulle nostre auto che ai bei tempi andavamo costruire a Togliattigrad: il 15 agosto 1966, la Fiat e i Ministeri dell’Industria automobilistica e del Commercio estero dell’URSS firmarono l’accordo per la costruzione dello stabilimento automobilistico del Volga. L’impianto, che in seguito fu denominato AutoVAZ (Volzhsky Avtomobilny Zavod), cominciò a produrre nel settembre 1970. Iniziativa di un grande imprenditore torinese, ma di famiglia genovese, Piero Savoretti. Staremo senza platino, oro, incenso e mirra, olio di girasole e addio torte.
Ma guai a voi, signori del Kremlino, se ci togliete “Masha e Orso”. Credo che potrebbe essere l’unica ragione per dichiarare la no fly zone sui cieli della povera Ucraina. Che cosa potremmo seguire in tv di più delizioso delle avventure dei due personaggi più amati dai nostri nipotini? Io provo con fatica a scherzare. Non li ha ancora toccati nessuno il grosso orso che vorrebbe soltanto pescare in pace e la piccola viperetta che lo tormenta perennemente, di cui lui non potrebbe fare a meno.
Ma in questa inconcepibile ondata russofobica che sacrifica Dostoevskij e Cechov potrebbero finire anche loro? Il cartone inventato da Oleg Kuzovkov magnificamente realizzato in Russia (posso scriverlo ancora?) leggo che è la prima serie animata in 3D del mondo e leggo ancora che “di certo Putin, che ha dato in questi anni un fiume di soldi statali alle produzioni, ne è orgogliosissimo visto che se la batte, quanto a popolarità globale, con i cartoon americani, con gli inglesi Peppa Pig e Winnie the Pooh. Ben prima del conflitto c'era stata una ricerca, riportata dal Times, realizzata da Anthony Glees, docente di scienza politica all'Università di Buckingham, secondo il quale il cartone animato sarebbe uno strumento per fare propaganda a favore del Cremlino e il simpatico Orso non sarebbe altro che lo zar.”
Siamo seri. Orso non fa del male nemmeno ai due lupi con l’ambulanza scassata. Non ci voglio nemmeno pensare. Non confondiamo le cose.
Torno a rileggere i dati inquietanti del Covid e questa “guerra” non ancora vinta.
L’uso delle parole è pericoloso e delicato e mai come in questi mesi le parole sono state usate male o a sproposito. Come il termine “guerra” per definire il contrasto alla pandemia. La “guerra”, ahimé, è la catastrofe umanitaria dell’Ucraina, sono le vittime innocenti sotto le bombe.
E’ l’incubo delle notti a Kiev o Mariupol. “Incubo”. Un’altra parola strausata durate il clou del Covid. Anche se ci sono alcune analogie tra la pandemia che abbiamo vissuto (e stiamo vivendo ancora oggi) e la guerra con bombe e kalashnikov. Ma non potremmo certo paragonare quello che si sta passando sottoterra nella capitale ucraina a quello che abbiamo passato noi in questi due tormentati anni chiusi in casa. Così come l’abuso della parola “assalto” per raccontare la frenesia di qualcuno nei primi lockdown a acquistare lievito. Oggi ho ritrovato l’”assalto” indistintamente utilizzato per l’attacco dei partigiani ucraini alle truppe russe e la corsa ai banchi di olio di girasole nei supermercati. L’”assalto all’olio di girasole”.
L’unica novità che noto nell’ informazione che mantiene dirette e “maratone” cambiando solamente il tema, dal Covid all’invasione russa, sono alcuni dei protagonisti. I giornalisti logicamente sono gli stessi. Alcuni degli ospiti anche: il costituzionalista funziona allo stesso modo sia che debba analizzare l’ipotetica perdita dei diritti dei no vax di fronte all’imperativo dei vaccini, sia se deve approfondire il ruolo della Ucraina all’interno della Grande Russia. Idem per un filosofo o uno storico. Si cambia l’oggetto: se prima rievocavano le pesti manzoniane e quelle dantesche oggi rispolverano gli indimenticabili anni degli zar. Sono apparsi i geopolitici, categoria ormai entrata a far parte della nostra quotidianità tormentata così, come fino a sedici giorni fa lo erano i poveri virologi. Ormai cancellati dai palinsesti, ammuffiti, ricacciati nei loro laboratori. Attenti, però, con la ripresa del virus dovremo richiamarli in servizio a meno che non si riescano a reperire sul mercato strateghi “double face” con seconda laurea in infettivologia, o qualche virologo che si è dilettato nel tempo perso di geopolitica. Magari giocando a Risiko. In ogni caso io preferivo loro ai generali arcigni e come generale mi andava benissimo il Figliuolo che ora si è anche scoperto memorialista.
Il vero problema sono le serate. Con il professor Bassetti riuscivo nonostante tutto a prendere sonno senza gocce. Con Vespa che indica l’avanzata delle truppe su una cartina del Centro Europa, stimolato dal professor Margelletti, è diventato più difficile. Quella bacchetta da maestro mi tortura. Se poi penso che potrebbe caderci in testa la stazione spaziale di Putin che è senza manutenzione, parole del signor Rogozin che non è un purtroppo un personaggio goldoniano, l’insonnia non me la toglie nessuno.
Se poi, orrore!, immagino che ci tolgano “Masha e Orso”, mi arrendo allo zar in cachemire.