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2 minuti e 47 secondi di lettura
di Elisabetta Biancalani

Davide vede sempre il bicchiere mezzo pieno. Come potrebbe fare diversamente, del resto, dopo che 10 anni fa (quando di anni ne aveva 17, cioè lo sbocciare della vita) è entrato in sala operatoria come una persona “abile” e ne è uscito, dodici ore dopo, “disabile”. È stato operato per l’asportazione di una cisti vicino alla spina dorsale ma, per alcune complicanze, è rimasto paralizzato. Senza preavviso, così. Su una sedia rotelle forse per tutta la vita. Perché nella sua storia un forse c’è, ma lui non ci si aggrappa in modo ossessivo.

Vive le sue giornate bevendo tutto ciò che c’è dentro quel bicchiere mezzo pieno, come quel giorno in cui, poco più che ventenne, si trovava da solo a Londra, anzi non da solo, ma con la sua carrozzina. Prese un ascensore per scendere in metropolitana ma quando si aprirono le porte trovó davanti a sè la porta sbagliata, quella antincendio con la maniglia antipanico. Per farla breve si richiuse e lui rimase intrappolato sette piani sotto il livello della terra. Solo. Con la sua carrozzina. E sette rampe di scale. Il telefono non funzionava a quella profondità e Davide si domandò che cosa fare. Di fronte a lui ci sarebbe stato solo il panico, anzi c’era solo il panico. Perché per tornare all’aria aperta aveva di fronte sette rampe di scale. Ma come? Lui, disabile? “Questa situazione ha avuto un lato positivo, mi ha insegnato a uscire dai momenti problematici” racconta oggi Davide. Che quel giorno non si lasciò scoraggiare dalla situazione, scese dalla carrozzina e fece gli scalini seduto, in salita, piano piano, uno alla
volta, con la forza delle braccia, trascinandosi a terra e tirando poi la carrozzina, ogni maledetta volta. Quando arrivó in cima gli era rimasta solo la forza di urlare Help help!! E da lì fu come una rinascita.

Davide è un fiume in piena, nella sua casa dove alleva strane bestioline che spuntano da gabbiette di plexiglas, contornato da decine di foto dei cinque nipoti, della sorella, dei parenti “siamo una bella squadra, saremo in venti!”, dai suoi trofei vinti da disabile, insieme alla sua cagnolino Hana, “dopo 28 anni sono riuscito a convincere i miei genitori!”. Che lo guardano con quattro occhi azzurri e fieri.

 

La sua vita è “normale, le uniche mie nemiche sono le scale, la sabbia, e la ghiaia”. Ci parla dei luoghi comuni che secondo lui sono nell’immaginario della gente che ad esempio “crede che se uno è su una carrozzina abbia dei problemi anche mentali“. Oppure “non dimenticherò mai lo sguardo di mia madre quando una signora al ristorante si spostò dal suo tavolo, con disappunto e con un commento del tipo - ma guarda te se mi devo spostare per colpa di questo sfigato - per lasciarlo ad un disabile che non aveva altra scelta che stare lì perché se no avrebbe dovuto fare le scale. Scherza anche dicendo che quando ha bisogno di aiuto, magari per strada, l’ideale sono le coppie giovani perché “il ragazzo vuole far vedere alla fidanzata di essere bravo e forte e quindi si prodigherà sicuramente per aiutarmi”.

Insomma, tanti spaccati di vita quotidiana, una forza vulcanica e contagiosa che ti resetta (almeno per qualche ora) il cervello, facendo sentire te un disabile, tutte le volte in cui il bicchiere lo hai voluto vedere solo mezzo vuoto.