GENOVA -Erano in trenta i migranti a bordo del pullman partito dalla Sicilia arrivato nel primo pomeriggio nel piazzale davanti al carcere di Marassi: con il passare delle ore sono stati tutti distribuiti nei vari centri di accoglienza convenzionati delle associazioni no profit. Cinque qui, dieci in un centro, tre da un'altra parte.
Alla fine vicino del pullman in sosta nei pressi del carcere e dello stadio rimangono solo quattro migranti: due pachistani e due tunisini.
Nelle mani stringono sacchettoni con dentro tutte le loro cose, il loro mondo. Hanno l'aria stanca e spaventata, provata, non sembrano giovani palestrati in gita di piacere.
L'operatore di una nota associazione no profit che ha il compito di accoglierli è un giovane con una maglietta verde: li saluta con un sorriso, come a dargli il benvenuto, e li invita a seguirlo.
Obbediscono in tre, che si trascinano verso l'auto che li condurrà nel centro che sarà la loro nuova casa.
Il quarto migrante rimane immobile sul posto, con lo sguardo interrogativo, gli occhi lucidi.
Guarda gli agenti delle volanti che stanno lì, a distanza, con solo il compito di un controllo discreto.
Il commissario, il capo della pattuglia, un ragazzo sveglio e di grande empatia, intuisce l'incertezza del migrante e si avvicina: lo straniero appare smarrito, come solo al mondo. I suoi compagni, i compagni del viaggio sul barcone, forse anche della via Crucis nel deserto, stanno andando via e lui è rimasto lì, solo.
Il poliziotto gli chiede perché non segue gli altri tre e lo invita a farlo. "Vai, go, go": lo straniero quando intuisce che può seguire anche lui l'operatore s'illumina, e poi corre verso l'auto dove stanno salendo i tre compagni di sventura.
Raccontiamo questa dopo avere assistito all'arrivo a Genova dei quattro migranti: persone in cerca di fortuna, persone con ognuno una sua storia, persone non numeri.