Rita Giancristofaro, triestina, è la seconda testimone a parlare nella mattian del terzo giorno di deposizioni dei sopravvissuti al crollo di Ponte Morandi. Era in auto con l'allora compagno Federico Cerne, da Albisola, dove erano in vacanza, stavano andando a Genova.
"Ho ricordi chiari e vividi. Eravamo partiti da Albisola e visto che pioveva ho deciso di andare all'Acquario, ci siamo messi in auto (...) una volta usciti dalla galleria e imboccato il ponte Morandi, oltre la metà, all'improvviso ho sentito un boato, come un terremoto pazzesco, non riesco a paragonarlo ad altro. C'era un traffico discreto, eravamo nella corsia di destra. E' mancato l'asfalto sotto l'auto. Ricordo la torsione dell'asfalto, la macchina che cade giù inclinata dal mio lato. Ho detto: 'Adesso ci facciamo tanto male'. Federico era con le mani strette sul volante e gli occhi chiusi". (...)
Continua Rita: "Ho messo le mani sul cruscotto, ho detto che non volevo morire, mi è sembrata un'eternità. Il ricordo successivo all'impatto col terreno è quello di aver chiamato Federico che mi ha risposto mormorando, ma sapevo che era vivo, ho chiamato i soccorritori. Erano pronti a estrarmi (tirandomi ndr) dal braccio destro ma mi faceva male. Hanno estratto prima Federico, la nostra auto era fra due binari e l'asfalto ci ha fatto da tetto, avevamo un tetto di asfalto. Durante il recupero ricordo il dolore, era una sensazione di torpore e volevo solo dormire, ma i ragazzi mi dicevano 'Rita non addormentarti, resta vigile'. Ci hanno messo un po' ma sono stati veloci, mi hanno salvato perché avevo una emorragia interna. Poi ricordo le luci, l'ambulanza e le voci dei soccorritori. Poi ricorso dal sabato quando mi hanno svegliato dal coma farmacologico. Oltre al trauma cranico e all'ematoma per la cinture".
"Rita prosegue spiegando le conseguenze mediche e psicologiche. Si interrompe e piange, poi riprende: "Io potrei non essere qua, erano poche le possibilità che fossi qui e non voglio sembrare irrispettosa nei confronti di chi ha perso un parente. Ma questa è la mia storia, non esco facendo salti mortali ogni mattina, con quel 14 agosto 2018 ci convivo ogni giorno e notte, come si fa a superare una cosa del genere? Un terremoto è un evento naturale, sono abruzzese, qui non è così, ogni giorno è un tourbillon di emozioni incredibili. Nessuno mi restituirà la vita che avevo prima, la paura che ho provato è come un cappotto che mi chiude. Quando esco di casa sono sempre in ansia. Questa tensostruttura reggerà? Cadrà? Per chi mi sta vicino non è facile, mi sento una persona insicura, sono sicura solo a casa. Non riesco a fare i compiti che ho fuori casa, in casa guardo il soffitto. Ero una persona molto positiva, avevo voglia di fare, costruite, ero positiva, orma i giorni sono numeri. Ho 45 anni e sto buttando la mia vita perché questa cosa non si supera. Da quattro anni mi rendo conto che da sola non ce la faccio anche se sono contraria ai farmaci ma bisogna arrendersi all'evidenza, la terapia incide sulla mia vita per gli effetti e le controindicazioni dei psicofarmaci".
Poco prima a parlare era stato Federico Cerne, fisioterapista di Trieste precipitato dal ponte insieme all'allora compagna. "Arrivavo da Albisola, andavamo verso Genova per vedere l'acquario, ero insieme a Rita Giancristofaro. Stavo guidando io. Ricordo di essermi fermato all'autogrill ai Piani d'Invrea per un caffè e una sigaretta, poi non ricordo più nulla. Ho ricominciato a ricordare solo all'uscita della sala operatoria. Ho avuto una frattura al polso sinistro e alla clavicola sinistra (...) sono rimasto in ospedale tre mesi tra Genova e Trieste. Ora la mattina ho difficoltà a piegare il ginocchio". L'avvocato chiede al teste se ha una amnesia che perdura sull'evento del disastro? Cerne risponde: "Sì".