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Cronaca

L'ingegner Vanzi in aula: "Ma le verifiche corrosione non erano semplici. Già nell'81 l'ingegner Morandi aveva avvertito del rischi"
3 minuti e 28 secondi di lettura
di Michele Varì
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GENOVA - "Accertare che l'intero ponte fosse ammalorato non era semplice perché la corrosione può colpire i cavi in punti diversi e lontani gli uni dagli altri".

Lo ha riferito Ivo Vanzi, docente di Ingegneria e consulente della commissione ministeriale voluta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti all'indomani della tragedia del 14 agosto 2018 costata la vita a 43 persone nell'audizione dell'udienza del processo Morandi in svolgimento nella tensostruttura del tribunale di Genova.
Alla sbarra 58 imputati fra cui i vertici di Autostrade per l'Italia e di Spea.

Vanzi ha premesso che il mandato del ministero era ampio e vago e chiedeva di sintetizzare quanto avvenuto e le possibili cause e poi, dato atto delle documentazioni fornite da autostrade, chiudere con una relazione con un inquadramento anche amministrativo.

Il tecnico ha ricordato le conclusioni della commissione sulle possibili cause della tragedia, noi avevamo ipotizzato tre ipotesi, la più accreditata non far riferimento al collasso della pila 9, come ipotizza la procura, ma, come si legge nella relazione ministeriale, "il crollo si origina nella parte di impalcato a est della pila 9, verosimilmente nell'impalcato cassone, dal lato sud. L'impalcato tampone lato est perde l'appoggio, ovvero entra in crisi strutturale e rovina al suolo unitamente al mezzo d'opera con motrice rossa in quel momento in transito e con peso totale pari a 44 tonnellate, che rovina sull'impalcato tampone".

Vanzi incalzato soprattutto dal pm Massimo Terrile, ha parlato per buona parte dell'udienza davanti ai giudici Lepri, Polidori e Baldini premettendo che la relazione non poteva essere approfondita perchè doveva essere conclusa entro trenta giorni, come richiesto dal ministero.

"Le verifiche sullo stato di grave corrosione del Morandi erano note sin dagli anni '80 - ha aggiunto Vanzi -, quando lo stesso ingegner Morandi aveva avvertito dei rischi che potevano derivare dalla corrosione, data anche la vicinanza al mare, la salsedine, l'umidità e il vento, questo però non significa che fosse a rischio crollo, sarebbe stato comunque opportuno visto i coefficienti di sicurezza limitare l'uso o chiudere il ponte".

Vanzi ha sottolineato anche la straordinarietà dell'opera dell'ingegner Morandi, per le grandi campate che scavalcavano la ferrovia sottostante e grazie all'innovativa idea di proteggere i cavi degli stralli con il cemento armato precompresso.
Unica grande controindicazione: la possibilità di non accorgersi della corrosione dei cavi annegati, nascosti nel cemento.
Un'intuizione, quella di Morandi, copiata in tutto il mondo, ma in Africa, ad esempio, un committente tedesco per un ponte in Libia aveva pretesto che i cavi fossero esterni, a vista, più esposti ma più facili da controllare.

Vanzi ha svelato la cronistoria dei controlli svolti da Autostrade sulla struttura che avevano permesso di accertare l'elevato grado di corrosione, nel 50% dei casi insufficienti.

Il tecnico ha parlato anche delle tecniche usate per i controlli: le ispezioni distruttive, "analisi molto delicate perché bucare è facile ma ripristinare meno, un processo molto delicato che rischia di non fare bene all'opera". E poi le"prove riflettometriche", l'esame dei cavi dall'esterno con una sorta di radiografia, "era tutto ciò che si poteva fare ha detto Vanzi.

Il consulente del Mit ha anche affrontato il progetto del retrofitting, il previsto rinforzo delle pile 9 e 10 approvato nel febbraio 2018 che sarebbe dovuto iniziare nell'ottobre dello stesso anno, ossia due mesi dopo il crollo.
"In alcuni allegati al progetto emergevano coefficienti di sicurezza inferiori a 1 per alcune parti del viadotto. Quel dato era un campanello d'allarme e avrebbe dovuto indurre a interventi immediati sulle parti non sicure, come un rinforzo, ulteriori indagini o la limitazione della struttura".

Fra i legali intervenuti in udienza i difensori delle parti civili, fra cui Fabio Panariello, e poi l'avvocato Mario Gebbia, difensore di Gabriele Camomilla, direttore delle Manutenzioni di Spea, e Guido Colella, difensore dell'ex direttore del Primo Tronco di Autostrade Riccardo Rigacci.

Dopo Vanzi i giudici hanno ascoltato il secondo consulente della commissione ministeriale convocato come teste dai pm, Gianluca Ievolella, la cui audizione è durata meno di un'ora, un lasso di tempo in cui il tecnico ha ripercorso il lavoro svolto in seno alla commissione e più volte, alle domande del pm  Terrile e Cotugno e del giudice Lepri, che chiedevano di entrare nei dettagli della relazione, ha ammesso di non ricordare: "Sono passati quattro anni" si è giustificato il tecnico.

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