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Cronaca

Le udienze riprendono con la testimonianza dell'ingegnere Alfredo Mortellaro. Domani si decide sulla maxi memoria depositata dai pm
4 minuti e 13 secondi di lettura
di Michele Varì

GENOVA -Al processo Morandi è il momento di Alfredo Mortellaro, 70 anni, presidente della  Commissione ispettiva del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti istituita per fare luce sulla tragedia, lunga esperienza al Sisde, ha una laurea in ingegneria conseguita nel 1980 presso il Politecnico di Torino
E' lui l'ultimo tecnico del Mit che sarà ascoltato nel processo sulla tragedia del 14 agosto 2018 costata la vita a 43 persone che riprende oggi alle 10 dopo la pausa delle festività di fine anno allungata di sette giorni anche per dare modo a tutte le parti in causa di leggere la maxi memoria presentata nell'ultima udienza prima di Natale dai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno ai giudici del collegio giudicante presieduto da Paolo Lepri.


Alla memoria dei pubblici ministeri e alla sua possibile accettazione sarà dedicata invece l'udienza di domani, martedì 17. Prevedibili molte eccezioni da parte degli avvocati difensori dei 58 imputati fra cui i vertici di Autostrade per l'Italia e di Spea, la società controllata che sulla carta avrebbe dovuto controllare Aspi.

Nelle ultime udienze sotto la tensostruttura dove si tiene il processo hanno parlato gli altri tecnici della commissione ministeriale: Ivo Vanzi, docente di Ingegneria, ha detto che "accertare che l'intero ponte fosse ammalorato non era semplice perché la corrosione poteva colpire i cavi in punti diversi e lontani gli uni dagli altri".
Vanzi davanti ai giudici aveva premesso che il mandato del ministero era ampio e vago e chiedeva di sintetizzare quanto avvenuto e le possibili cause.

Il tecnico davanti ai giudici aveva ricordato le conclusioni della commissione sulle possibili cause della tragedia, "noi avevamo ipotizzato tre ipotesi, la più accreditata non fa riferimento al collasso della pila 9, come ipotizza la procura, ma, come si legge nella relazione ministeriale, il crollo si è originato nella parte di impalcato a est della pila 9, verosimilmente nell'impalcato cassone, dal lato sud. L'impalcato tampone lato est perde l'appoggio, ovvero entra in crisi strutturale e rovina al suolo unitamente al mezzo d'opera con motrice rossa in quel momento in transito e con peso totale pari a 44 tonnellate, che rovina sull'impalcato tampone".

Vanzi incalzato soprattutto dal pm Massimo Terrile, aveva parlato per buona parte dell'udienza davanti ai giudici Lepri, Polidori e Baldini premettendo che la relazione non poteva essere approfondita per motivi di tempo perché doveva essere conclusa entro trenta giorni, come richiesto dal ministero.

"Le verifiche sullo stato di grave corrosione del Morandi erano note sin dagli anni '80 - aveva aggiunto il tecnico -, quando lo stesso ingegner Morandi aveva avvertito dei rischi che potevano derivare dalla corrosione, data anche la vicinanza al mare, la salsedine, l'umidità e il vento, questo però non significa che fosse a rischio crollo, sarebbe stato comunque opportuno visto i coefficienti di sicurezza limitare l'uso o chiudere il ponte".

Vanzi aveva sottolineato anche la straordinarietà dell'opera dell'ingegner Morandi, per le grandi campate che scavalcavano la ferrovia sottostante e grazie all'innovativa idea di proteggere i cavi degli stralli con il cemento armato precompresso.
Unica grande controindicazione: la possibilità di non accorgersi della corrosione dei cavi annegati, nascosti nel cemento. Un'intuizione, quella di Morandi, copiata in tutto il mondo, ma in Africa, ad esempio, un committente tedesco per un ponte in Libia aveva pretesto che i cavi fossero esterni, a vista, più esposti ma più facili da controllare.

Vanzi aveva poi svelato la cronistoria dei controlli svolti da Autostrade sulla struttura che avevano permesso di accertare l'elevato grado di corrosione, nel 50% dei casi insufficienti.

Il tecnico aveva parlato delle tecniche usate per i controlli: le ispezioni distruttive, "analisi molto delicate perché bucare è facile ma ripristinare meno, un processo molto delicato che rischia di non fare bene all'opera". E poi delle"prove riflettometriche", l'esame dei cavi dall'esterno con una sorta di radiografia, "era tutto ciò che si poteva fare".

Il consulente del Mit aveva anche parlato del progetto del retrofitting, il previsto rinforzo delle pile 9 e 10 approvato nel febbraio 2018 che sarebbe dovuto iniziare nell'ottobre dello stesso anno, ossia due mesi dopo il crollo.
"In alcuni allegati al progetto emergevano coefficienti di sicurezza inferiori a 1 per alcune parti del viadotto. Quel dato era un campanello d'allarme e avrebbe dovuto indurre a interventi immediati sulle parti non sicure, come un rinforzo, ulteriori indagini o la limitazione della struttura".


Dopo Vanzi i giudici aveva ascoltato il secondo consulente della commissione ministeriale convocato come teste dai pm, Gianluca Ievolella, la cui audizione è durata meno di un'ora, un lasso di tempo in cui il tecnico ha ripercorso il lavoro svolto in seno alla commissione e più volte, alle domande dei pm Terrile e Cotugno e del giudice Lepri, che chiedevano di entrare nei dettagli della relazione, ha ammesso di non ricordare: "Sono passati quattro anni" si era giustificato il tecnico suscitando molte perplessità nell'aula per i troppi vuoti di memoria in un interrogatorio che verteva su una relazione che aveva contribuito a stilare.

Mercoledì 18 invece in aula dovrebbero comparire le ultime parti offese non ascoltate nel primo giro di interrogatori.  
Giornata molto importante sarà invece lunedì 23, con l'ascolto dei periti che saranno interrogati prima dai giudici, poi dai pm, e quindi dagli avvocati delle parti civili e dagli imputati.

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