GENOVA -"A mio avviso l'ex Amministratore di Autostrade per l'Italia Castellucci si è presentato al processo per sviare l'attenzione dalla memoria".
Emmanuel Diaz, che nella tragedia ha perso un fratello, spiega così l'improvvisa comparsa in aula di Giovanni Castellucci al processo per il crollo di Ponte Morandi, la tragedia del 14 agosto 2018 che ha ucciso 43 innocenti e di cui Castellucci è il principale imputato insieme ad altre 57 persone.
Castellucci guarda caso si è presentato per la prima volta il giorno in cui i giudici hanno ammesso la maxi memoria dei Pm, un duro atto di accusa di 2500 pagine nei confronti di Autostrade passato in secondo piano rispetto alla presenza in aula di Castellucci, definito dai magistrati il "padre padrone" di Aspi.
Nelle udienze intanto è l'ora dei periti dei pubblici ministeri che hanno ribadito il motivo del crollo: il cedimento della pila 9 a causa della corrosione. Una tragedia che, hanno aggiunto i tecnici si poteva evitare con adeguati manutenzione e controlli.
Il docente del Politecnico di Milano Giampaolo Rosati ha puntato l'indice contro l'assenza di cemento nelle guaine degli stralli di cemento, aggiungendo poi: "Con un normale sistema di monitoraggio acustico ci si sarebbe accorti della corrosione, come è accaduto per il ponte Hammersmith Flyover di Londra dove vennero installati nel 2009 e che permisero, a seguito degli allarmi, di chiuderlo nel 2011 per eseguire i lavori".
Insieme a Rosati ha parlato Renzo Valentini, nominato perito al posto di Bernhard Elsner, tecnico svizzero costretto alle dimissioni dopo aver rilasciato un'intervista in tv in cui anticipava le cause del crollo.
Valentini con tono didattico ha illustrato come la corrosione attacca e mina la stabilità delle opere in calcestruzzo.
"La velocità del degrado dipende dagli agenti atmosferici esterni - ha sottolineato Valentini -tutti sanno che più umidità equivale a più corrosione, e il ponte Morandi era sull'acqua e di fronte al mare".
Rosati e Valentini, i due periti dei giudice per le indagini preliminari che scrissero la perizia sulle cause del crollo, hanno ribadito che "in 25 anni, dal 1990 al 2015, sulla pila 9 del ponte Morandi, quella crollata il 14 agosto 2018, vennero fatte "quattro ispezioni. Nell'ultima erano stati trovati cavi senza alcuna iniezione e trefoli ossidati di cui tre che si muovevano".
Secondo l'accusa rappresentata ora, in vista dell'altro processo sulle autostrade (su falsi report, viadotti, pannelli acustici, e gallerie) non da due ma da tre magistrati (a Terrile e Cotugno è stato aggiunto Marco Airoldi) tutti sapevano delle condizioni del Morandi ma nessuno fece nulla seguendo la logica del risparmio per garantire maggiori utili da distribuire ai soci.
I periti hanno sottolineato come un sistema di monitoraggio attraverso sensori: "Avrebbe potuto salvare il ponte".
I due super esperti hanno affrontato il tema dei controlli. Le prove riflettometriche "non erano sufficienti - hanno spiegato -, già negli anni '90 c'era un dibattito sulla loro valenza. Anche se l'unicità dell'opera non ha mai fatto realizzare strumenti specifici". Critici i periti sulla relazione del progetto di rinforzo delle pila 9 e 10: "Se nel 1991 la corrosione viene stimata intorno all'8% nella 9 e oltre il 20% nella dieci, come mai nel 2017 è stata indicata con valori tra il 10 e il 20%? È una valutazione assurda e inaccettabile. La corrosione del ferro non regredisce ma aumenta nel tempo. Non capiamo come sia stata fatta questa indicazione che va contro ogni legge della termodinamica. Non abbiamo trovato alcuna carta, verifica o ispezione che giustificasse questo dato".
L'udienza proseguirà domani con l'esame dell'ultimo perito Stefano Tubaro e l'eventuale controesame dei testi.