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Cronaca

È arrivato in manette scortato dalla polizia penitenziaria e poi si è seduto dietro le sbarre del gabbiotto allestito per i detenuti
1 minuto e 27 secondi di lettura
di Redazione

GENOVA - È tornato in tribunale Alberto Scagni, l'uomo che il primo maggio scorso ha ucciso la sorella Alice sotto la sua casa a Quinto. Ha chiesto di essere presente all'udienza per la revoca dei lavori di pubblica utilità a cui era stato sottoposto un anno prima dell'omicidio perché si era andato a schiantare contro un muro a 100 chilometri all'ora mentre era ubriaco. Di quella bravata si era vantato su Facebook tre settimane prima dell'omicidio ma anche con il cognato al quale aveva raccontato di essere scappato e che gli agenti avevano fatto fatica a prenderlo. La Polizia locale gli aveva ritirato la patente e lui aveva ottenuto dal giudice i lavori di pubblica utilità. Lavori che però aveva poi interrotto. Per questo la procura aveva chiesto la revoca della misura. Oggi si è tenuta l'udienza davanti al giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni. Scagni, difeso in questo caso dall'avvocato Federico Figari, ha voluto presenziare all'udienza.

È arrivato in manette scortato dalla polizia penitenziaria e poi si è seduto dietro le sbarre del gabbiotto allestito per i detenuti. Non ha detto una parola, assolutamente tranquillo, non ha mosso ciglio mentre parlava il pubblico ministero Gabriella Marino. Il giudice si è riservato di decidere. Dopo quella bravata era iniziata l'escalation di deliri e paranoie fino al tentativo di incendio della porta di casa della nonna e l'omicidio della sorella. Quel giorno, il primo maggio, Alberto aveva minacciato i genitori al telefono. "Se non vedo i soldi sul conto, sai Alice dov'è stasera?". Poi la chiamata del padre al 112 con la richiesta di aiuto: "Mio figlio ha detto che mi taglia la gola, ha minacciato anche mia figlia e mio genero". E la risposta degli operatori che gli spiegano che "deve andare a denunciare e stare chiuso in casa".

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