GENOVA - "Non voglio più sentire parlare di orari, l'elenco dei testi da ascoltare dovrà essere concluso a ogni udienza, a costo di andare avanti sino a mezzanotte".
E' la chiara e perentoria precisazione del presidente del collegio giudicante al processo di ponte Morandi Paolo Lepri al termine della prima parte dell'udienza di oggi, lunedì 27 marzo, una sottolineatura che appare come una risposta alla polemica fra i magistrati dell'accusa e lo stesso giudice che si è consumata la scorsa settimana sul rischio prescrizione di alcuni reati contestati ai 58 imputati. Insomma un cambio di passo con tanto di invito alle parti di decidere in tal senso il calendario delle prossime udienze.
Una precisazione forse non a caso arrivata oggi, in un'udienza che a molti addetti ai lavori è sembrata non aggiungere molto al dibattimento e ricalcare i contenuti delle udienze della scorsa settimana. In aula a rappresentare i tre pm c'è il sostituto procuratore Airoldi.
Il primo dei testi a parlare è stato l'ingegnere, Graziano Verzilli, di Autostrade per l'Italia che dopo il crollo, nel 2019, è stato inviato nel tronco di Genova, di fatto uno dei tre funzionati sotto la figura del direttore. La sua testimonianza, in sintesi ha ribadito che i report trimestrali erano svolti con superficialità, quasi un copia incolla, con quasi mai ispezioni nei punti meno facili da raggiungere, come i cassoni degli impalcati (le carreggiate dei viadotti) e soprattutto, pensando al Morandi, gli stralli di eventuali pile dei viadotti. Controlli soft che poi confluivano nel rapporto annuale, su cui invece i tecnici s'impegnavano di più, come detta il manuale delle ispezioni. Ma anche in quel caso poche volte si andava a controllare i punti meno accessibili.
Dopo Verzilli, dopo mezzogiorno, è toccato al secondo teste dell'accusa programmato: Nunzio Di Somma, dipendente del Rina, il Registro navale italiano che dopo il crollo era stato incaricato da Spea di svolgere delle verifiche sui viadotti del nodo ligure. Un suo collega, Tiziano Lucca, ascoltato la scorsa settimana aveva detto che in molti viadotti era impossibile accedere a causa degli ingressi murati e vegetazione e che i riscontri alle ispezioni avevano individuato anomalie quasi sempre più gravi di quelle segnalate dai report forniti da Spea.
L'udienza più attesa della settimana è quella di mercoledì 29 marzo, il giorno del superteste Emanuele Codacci Pisanelli, ex allievo dell'architetto Riccardo Morandi, convocato dopo le rivelazioni in aula di un altro testimone, Paolo Rugarli, perito delle parti civili Possetti e Bellasio, più che mai importanti in questo processo.
Codacci Pisanelli da consulente di Autostrade a metà degli anni '90 dopo la messa in sicurezza della pila 11, aveva ribadito la necessità di rinforzare anche le pile 10 e 9. Ma la sua istanza, quasi trent'anni prima del crollo, sarebbe stata respinta da due dirigenti di Autostrade, Gabriele Camomilla, e Michele Donferri Mitelli, due degli imputati eccellenti. A provarlo ci sarebbero alcune mail fra Codacci e Rugarli.
I dirigenti di Aspi allora avevano liquidato Pisanelli spiegando che i controlli con le prove riflettometriche smentivano l'emergenza sulle altre due pile. Controlli, quelli svolti con impulsi elettrici, che però nel resto del mondo già allora non erano definiti attendibili per testare la qualità dei cavi di acciaio annegati nel cemento.