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Cronaca

Al centro della testimonianza dell'architetto Chiara Murano, della società ingegneristica Cesi, una mail inviata il 14 agosto 2018, dove oltre ai rapporti effettuati come azienda consulente veniva quasi manlevata la responsabilità di Aspi
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di Aurora Bottino
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GENOVA - "Riteniamo piuttosto che le cause di quanto tragicamente occorso siano da rintracciarsi nel vizio progettuale originario di una struttura complessa e inconsueta..". Torna in aula il processo per il crollo di Ponte Morandi, rinviato di una settimana dopo che uno degli avvocati difensori di due imputati di Spea era stato contagiato dal covid.

Il primo teste nella tensostruttura del palazzo di giustizia di Genova è l'architetto Chiara Murano, del reparto commerciale di Cesi, il Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano, società di ingegneristica che nel febbraio del 2015 era stata incaricata di controllare i movimenti del ponte Morandi.

Cesi entra in gioco nella notte tra il 14 e il 15 agosto, a poche ore dal crollo del viadotto che attraversa il Polcevera, quando Autostrade per l'Italia sembra avere, tra le prime preoccupazioni, quella di difendersi dalle prevedibili e inevitabili accuse di cattiva manutenzione. Proprio per questo già il 14 agosto, nel pomeriggio, aveva richiesto a Cesi tutte le copie delle relazioni e dei rapporti stilati dalla società.

Al centro della vicenda c'è proprio la mail inviata da Murano a Enrico Valeri, direttore gestione rete di Autostrade per l'Italia, quella sera.

Il file in formato pdf che contiene i rapporti effettuati nel 2015 è infatti accompagnato da un articolato messaggio, una nota, dove si manleva di fatto Aspi dalle responsabilità sul disastro, ricondotte a "vizi del progetto originario".

Un trafiletto che Murano dice di aver copiato e incollato, sotto richiesta del suo superiore, l'ingegnere navale savonese Domenica Andreis, da una mail inviata da un altro ingegnere poco prima. "Le parole che descrivono il Morandi come un progetto complesso, un tipo di struttura che non rispondeva ai canoni dell'ingegneria classica, che sottolineavano che c'erano solo tre ponti così al mondo, era un copia e incolla".

"Dal nostro punto di vista... le attività di gestione e sorveglianza del ponte sono state adeguate e svolte con la dovuta diligenza"

si legge nel messaggio di posta elettronica inviata poco dopo le 22 da Murano a Valeri.

Una affermazione che sarebbe potuta essere vera, se solo Aspi avesse messo in atto i consigli risultati dal lavoro di Cesi, ovvero l'installazione di un sistema di monitoraggio dinamico e il ravvicinamento dei controlli, che da biennali sarebbero dovuti diventare annuali.

"Forse la cosa migliore sarebbe stata chiudere tutte le comunicazioni con il concessionario, lo abbiamo trattato come un cliente normale. I tempi erano stretti, non lo rifarei", conclude Murano.

Lo stesso ingegnere Domenico Andreis, aveva rivelato nella scorsa udienza anche di una drammatica riunione svolta dal gotha di Aspi e Spea il 15 agosto del 2018, il giorno dopo la tragedia, negli uffici del primo tronco di Genova nei pressi del casello di Genova Ovest. A quel faccia a faccia partecipò anche Murano.

"Erano presenti Castellucci, Berti, Donferri e Enrico Valeri, anche altri che non ricordo - spiega Murano, licenziato da Cesi poco dopo il crollo del ponte Morandi -. Ci furono più riunioni, nella prima Autostrade voleva riprendere i contenuti del rapporto tecnico, sembrava che non ricordasse quello che era contenuto tre le indicazioni per il miglioramento dei sistemi".

"Dopo ci fu anche un incontro con i tecnici di Spea", spiega Murano, incontro che sarebbe stato richiesto direttamente dal numero uno di Autostrade per l'Italia, Giovanni Castellucci. "Autostrade voleva approfondire la corrispondenza tra il modello fisico del ponte, che era nell'archivio di Ismes e risaliva agli anni '60, con quello fatto nel 2015 per capire al meglio dove posizionare i sistemi di monitoraggio temporanei fatti da Cesi".

 

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