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Cronaca

Il giornalista: "Avevo invitato Bogdan a festeggiare il suo compleanno in Liguria". E ribadisce l'importanza di proseguire a sostenere ancora il popolo ucraino: "Gli unici che hanno detto no a Putin"
8 minuti e 15 secondi di lettura
di Michele Varì

GENOVA - "Smettere di aiutare l'Ucraina ora significherebbe condannare il suo popolo ma anche la nostra democrazia: loro stanno combattendo anche per noi, sono stati primi a opporsi a Putin"

È tornato a Genova Corrado Zunino, l'inviato di guerra genovese ferito in Ucraina il 26 aprile in un agguato di un cecchino russo in cui è morta la sua guida.


Lo abbiamo incontrato davanti alla sede del Corriere Mercantile, il giornale chiuso dal 2015 dove Zunino ha iniziata la sua storia di giornalista

"E' stata un'esperienza durissima che ha interrotto la vita del mio amico Bogdan, 46 anni, un padre, un marito, un fratello, e un mio grande amico con cui avevo condiviso tutte e cinque le mie missioni, una cosa sino a quel momento molto belle perchè questo è il 40mo anno che faccio il giornalista, ho scritto molti pezzi, ho fatto video, fatto giornalismo radiofonico, televisivo, sicuramente ho fatto anche degli errori, ma una cosa molto bella che tutto quello che ho imparato in posti come questi (dice indicando l'ex sede del Corriere Mercantile), dai quali mi distaccavo spesso perchè come te amavamo, amavo andare per strada, a vedere cosa succedeva, mi tornava tutto, da quando andavo in giro per il Corriere Mercantile a fotografare tutto, dai campanili sgarrupati per raccontarli nella pagina dei quartieri, tutto questo mi accorgevo che mi tornava utile, era qualcosa che mi era servito nella mia lunga esperienza, anche nelle esperienze sull'inchieste sportive, tutto questo mi serviva in Ucraina, in un luogo dove quando sei tranquillo devi prendere due o tre decisioni ogni ora, poi ci sono momenti in cui devi prendere due o tre decisioni ogni minuto, sapendo che sono decisioni che devi provare a non sbagliare. Questa volta c'era il silenzio su quel ponte, altre volte c'erano esplosioni anche ravvicinate, pericolo di mine a terra, profughi da portare via dalle loro case, situazioni apparentemente più pericolose. Forse ho sbagliato, capitato di non fare tutto esattamente, avere messo il giubbotto anti proiettile un minuto più tardi, in guerra c'è una parte molto alta di imponderabile, in questa guerra ancora di più. Questa volta è stato un cecchino che non avevano previsto nascosto in una palude oltre il ponte di Kherson che ci ha messo nel mirino della sua ottica, del suo visore, ci ha mirato e ha ucciso il mio amico".


Chi era Bogdan?


"Bogdan Bitik era una persona, un ucraino che era andato a vivere nell'Est, si era laureato due volte, prima a Kiev poi in Cina, e aveva conosciuto all'Università il suo amore, che sarebbe diventata la sua donna, una indonesiana di origine cinese, ed era andato a vivere in Indonesia dove fondamentalmente era diventato un istruttore di kitesurf, era un uomo molto sportivo, per due anni non ha potuto lavorare, perché il covid ha chiuso tutto il mondo, e quindi era tornato in Ucraina perché sapeva dei venti di guerra che correvano e cercava di capire cosa fare della sua famiglia di origine, un fratello e una madre, non li ha mai portati via, perchè credo che la madre non volesse allontanarsi dalla periferia di Kiev dove viveva, e quindi lui ha scelto per un periodo di stare lì per aiutare la madre, e un modo per aiutare la sua famiglia in guerra è fare il fixer, lavorare con i giornalisti".

Chi sono i fixer?

"Il fixer è una persona del posto che sa parlare l'Ucraino, una lingua che pochi conoscono, e sa guidare per molte ore, che ti aiuta a trovare gli argomenti, i contatti, a trovare le persone, una persona con cui inzi a condividere questioni di guerra, ne parli molto e capisci di essere entrato in un contatto emotivo, la quinta volta capisci che è un tuo amico, un caro amico dell'età adulta a cui avevi detto, ad agosto quando tornerò di nuovo in Ucraina ne usciamo insieme, e vieni a fare il compleanno in Liguria. Lui mi aveva risposto, "non credo che la guerra sarà ancora finita, non credo che mi lasceranno uscire da questo Paese".

Come hai conosciuto Bogdan?

L'ho conosciuto nella prima missione, in treno, quando ho lasciato Leopoli, io sono stato otto giorni in Polonia per seguire i profughi, dove ho documentato la più grossa strage, avvenuta a Yavoriv, in una base nato a 45 minuti di Leopoli, lì ho conosciuto Bogdan, quella sera arrivammo molto tardi a Kiev, dormì con me in camera d'albergo e da allora scelsi lui come persona di fiducia"

Lui era al tuo fianco, ma indossava un giubbotto antiproiettile?


"Lui quel giorno aveva lasciato il giubbotto antiproiettile nel retro della macchina, quando per un errore, per un errore reiterato, ai check point ucraini, ci hanno detto Kherson è una città libera, accessibile e potete andare in quella direzione, i giornalisti possono andare, in inglese gli dissi questa è una zona da giubbotto antiproiettile comunque, lui mi disse si, non c'erano mai discussioni sulla nostra sicurezza, solo che gli dava fastidio indossarlo già in macchina perchè quando guidi è piuttosto ingombrante. Poi nei giorni successivi abbiamo deciso insieme di salire su quel ponte, io avevo il mio giubbotto, e ritengo che per sbrigarsi, per fare veloci e non stare più di quindici, venti secondi su quel ponte, ritengo non sia andato nel retro della macchina e non l'abbia indossato. Me ne sono accorto che ero già sul ponte, ero andato avanti, a quel punto avrebbe voluto dire perdere altro tempo e quindi lui ha provato a fare quel video, non ha avuto il tempo di farlo senza giubbotto antiproiettile".

Si sarebbe salvato?

"E' impossibile dirlo, è veramente impossibile dirlo, è stato colpito nella parte alta, alcuni hanno scritto, ma non ho la possibilità di fare una verifica, che è stato colpito al collo, pochi giubbotti antiproiettile coprono questa parte, sicuramente quando sei un zona di frontline devi garantirti il più possibile, in quel caso Bogdan non l'ha fatto e non sono stato abbastanza rapido nel dirgli no Bogdan, devi indossarlo"

Dopo un'esperienza così forte come è stato tornare in Italia e nella tua città?

"Sono tornato subito a Roma, dove c'è la famiglia che mi sono costruito, ma dopo cinque giorni ho deciso di venire su anche perchè mio fratello e la sua famiglia avevano cercato di nascondere quanto era successo a mia madre non facendole vedere la televisione, ma poi ha ricevuto una telefonata da un'amica ed è venuta a saperlo, quindi ho pensato che era il caso di farmi vedere per tranquillizzarla. Devo dire che questa città per me ha una capacità terapeutica e mi aiuta a ricordare quello che è successo nel modo più nitido e a provare a farlo senza avere degli incubi insopportabili".

Dopo un anno di guerra sono sempre di più coloro che si pongono la domanda se è ancora il caso di armare l'Ucraina, alimentare la guerra?

"Non ho cambiato idea, anche se ho sentito i proiettili russi sul mio corpo, non alimentiamo una guerra consentendo agli ucraini di difendersi, alimenteremmo una resa e una sconfitta militare con un'occupazione di un territorio da parte di Putin se smettessimo di dare le armi agli ucraini, gli ucraini hanno tutto il diritto di difendersi, si difendono contro il secondo esercito più forte al mondo il quale sta subendo da 15 mesi molte sconfitte, ma ha riserve, volumi di tank e carri armati pronti per almeno ancora due o tre anni. C'è stato un accordo per certi versi non creduto, impossibile persino da parte dell'Occidente, un accordo per dare armi agli ucraini che da soli avevano il cuore la capacità militare per difendersi, ma non avevano certo gli armamenti.  Smettere di dargliele adesso significherebbe consentire nuovamente a Putin nuovamente di avanzare, perché ad oggi, dopo 15 mesi, non ha mai parlato di tregua, non ha mai parlato di pace, ha lasciato che ne parlassero alcuni alleati come i cinesi o alcuni mediatori come Erdogan attraverso piani di pace che non prevedono neppure la definizione futura dei territori e quello è il centro della questione.
E poi noi ci dimentichiamo che gli ucraini stanno facendo questo anche per l'Europa. Sono consapevoli, noi un po' meno, delle sue politiche. Putin ha sottomesso la Cecenia, è intervenuto in diversi luoghi delle ex Repubbliche Socialiste sovietiche, ha distrutto le forze armate della Georgia, ha un piano, secondo diverse intelligence, per riprendersi la Moldavia. Lui d'altronde lo scrive, e noi dovremmo iniziare a credere in quello che lui scrive. Il suo più grande incubo è stato il collasso dell'Unione Sovietica con la perdita delle sue Repubbliche. Tutta la sua politica estera a 15 anni a questa parte va in questa direzione, l'Ucraina è la prima nazione che gli ha detto no.

 

"Non accettiamo di tornare, non solo sotto il vostro comando, ma pure sotto la vostra sfera"

Ma cosa rispondere a chi ipotizza un altro scenario per fare cessare le armi: l'Ucraina si arrende, anche se il popolo russo non lo farà mai, la Russia si prende sì la Crimea e altre parti dell'Ucraina, ma se non avvia delle trattative rimarrà isolata come non è mai stata e Putin un criminale di guerra per tutto il mondo o quasi. Cosa accadrebbe in questo caso?


"Beh intanto si darebbe ragione alla prepotenza di un dittatore e questa questo sarebbe un male  delle democrazie"

 



Ma questa guerra sta annientando un paese, uccidendo un popolo e distruggendo le sue industrie?

 
"ll popolo ucraino a fronte della reazione che ha avuto continuerebbe a non arrendersi. Cambierebbe solo le modalità di combattimento, senza armi pesanti, inizierebbe solo una guerriglia, Putin già oggi è accusato di crimini di guerra già oggi vivaddio va avanti un processo di messa in mora. 
Immaginiamo cosa cosa potrebbe fare se dovesse essere solo ma con alcuni alleati molto importanti come la Cina, Cuba, il Sudafrica e la Siria, da vincitore metterebbe nuovamente condizioni visto quello che sta facendo nonostante non abbia però vinto la guerra e per molti versi ancora in Ucraina".

Tornerai in Ucraina?

"In questo momento non mi pongo il problema, vorrei continuare a occuparmi di Ucraina. Vedremo fra un po' di settimane".

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