GENOVA - Ha un ruolo fondamentale nello smantellamento di un giro di droga che avrebbe dovuto far arrivare a Genova un carico da 100 chili di cocaina un funzionario "infedele" dell'Autorità portuale che in realtà era un finanziere sotto copertura.
Un lavoro di fino quello di "Gian", l'uomo che avrebbe dovuto portare fuori il carico di droga al quale l'organizzazione criminale avrebbe dato 200 mila euro per 50 chili di cocaina fatti uscire dal porto di Genova.
È quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari che ha disposto l'arresto di nove persone. In manette sono finiti gli albanesi Ardian Sufaj, secondo l'accusa il capo dell'organizzazione, Andiol Xhindoli, Andrea Vasaj, il dominicano Francisco José Castillo Tapia, residente a Massa, e Hane Sufaj, residente a Pisa. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, sequestro di persona e detenzione di droga.
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Secondo quanto emerso dalle indagini, il capo dell'organizzazione, Sufaj, l'anno scorso aveva incontrato tale Gian, presentatogli da un frequentatore delle piazze di spaccio. Gian è "l'infiltrato" all'interno dell'Autorità portuale (contando che già era un'infiltrato nel mondo della criminalità) che avrebbe dovuto aiutare i trafficanti a spostare la droga dai container di fave di cacao arrivate dall'Ecuador.
Gian e Sufaj si mettono d'accordo per una prima spedizione di "prova" di 50 chilogrammi di cocaina solo per "testare l'affidabilità e le effettive capacità "lavorative" di "Gian" - scrive il gip - riconoscendogli il richiesto compenso di 200 mila euro". Per non essere scoperti Sufaj gli fornisce anche un criptotelefono, a prova di intercettazioni, costruiti in Israele.
Viene poi organizzata la spedizione da 100 chili che però non arriva mai a Genova. A quel punto viene sequestrato da alcuni membri dell'associazione l'italiano che aveva fatto da tramite tra Gian e Sufaj.
L'uomo viene caricato in auto, minacciato con una pistola e la macchina viene intercettata dalla polizia. "Questi due mi hanno costretto a salire in macchina con loro e mi hanno sequestrato. Volevano uccidermi", dirà agli agenti mentre spiega di avere conoscenze nel mondo della criminalità e di avere ricevuto un anno prima una telefonata da uno sconosciuto che gli chiedeva un contatto con qualcuno in porto per fare uscire un carico di 100 chili di droga proveniente dal Sudamerica.
L'uomo gli aveva girato il contatto di una persona e non aveva saputo più niente.