Dopo la tragedia, è stato il primo passo verso la rinascita. La preparazione fu lunga e complessa ma alla fine ci vollero poco meno di sei secondi in tutto. Alle 9.37 di venerdì 28 giugno 2019, a quasi un anno di distanza da una delle più grandi catastrofi della storia recente del nostro paese, vennero demolite le pile strallate 10 e 11 della porzione est del ponte Morandi, le parti più caratteristiche e iconiche della struttura. Fu la fase conclusiva di un processo iniziato a febbraio attraverso il cosiddetto “smontaggio lento” consistente nel taglio e nell'abbassamento a terra di alcune porzioni di viadotto più a rischio di un ulteriore crollo. Le operazioni di esplosione, inizialmente previste per le 9, subirono un leggero ritardo a causa di un problema nelle evacuazioni dei residenti della zona limitrofa al cantiere. In un'abitazione si temeva che una persona si fosse barricata dentro e venne sfondata la porta senza che peraltro ci fosse nessuno. In un secondo appartamento furono trovati due extracomunitari che guardavano ignari la televisione senza sapere nulla dell'evacuazione. Una volta informati, i due lasciarono la casa di loro spontanea volontà.
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In vista della demolizione la struttura commissariale con in testa Marco Bucci aveva messo a punto un piano speciale che prevedeva l'evacuazione temporanea di quasi 3200 persone nel raggio di 300 metri dalle pile stesse, quasi 800 uomini delle forze dell'ordine impegnati, centinaia di volontari di protezione civile, viabilità bloccata e un sistema ad hoc di accoglienza. Furono otto gli spazi attrezzati per permettere agli evacuati temporanei di trascorrere le ore in attesa di poter fare rientro nelle proprie case quando tutto si sarebbe concluso. Quel giorno vennero usati 500 chili di dinamite per il cemento armato; 30 chili di Semtex, esplosivo in dotazione dall’Esercito, per gli stralli; 180 chili di dinamite per sollevare acqua; 5.000 metri di micce detonanti e 3.000.000 di litri di acqua sollevata. Primocanale ovviamente fu diretta fin dalle prime ore della mattina con telecamere posizionate in punti strategici in modo da offrire la più ampia visione possibile di questo evento.
Furono quattro le fasi che portarono alla demolizione: la prima per la campata con il taglio degli stralli mediante uso di cariche esplosive direzionali; la seconda comune ad entrambe le pile attraverso l’elevazione di un muro d’acqua in quota. Mediante una vasca che copriva la lunghezza dell’intera campata l’esplosione di cariche calibrate sollevò acqua ad un’altezza di circa 90 metri che ridiscendendo sotto forma di pioggia intensa prima dell’attivazione della fase 3, contribuì a mitigare la diffusione di polveri al suolo. La fase 3 fu quella dell'abbattimento delle strutture portanti di entrambe le campate, i due pilastri che reggevano gli stralli, alti circa 82 metri. In meno di mezzo secondo furono abbattuti gli appoggi e gli impalcati collassarono frazionandosi in maniera composta prima dell’impatto sul terreno sottostante preventivamente ricoperto di materiale inerte. L'ultima fase portò all’innalzamento di muri d’acqua alti circa 40 metri ai lati di entrambe le campate che costituirono un filtro laterale per gran parte delle polveri generate dalla caduta dei manufatti.
Ogni cosa funzionò alla perfezione tanto che successivamente l'esplosivista Danilo Coppe proprio a Primocanale in via Fillak affermò: “Tutto ha suonato come un'orchestra"
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