GENOVA - "Non si uccide un dipendente così, ci deve essere un altro motivo per ammazzare un bravo ragazzo come Adballa che mi aveva solo chiesto solo di lavorare...".
E' assillato da un senso di colpa e da tanti angoscianti dubbi Mohammed (nella foto di spalle), l'imprenditore egiziano titolare di due barberie a Sestri Ponente e di Pegli, dove Abdalla (foto a sinistra), il diciannovenne ammazzato e decapitato aveva effettuato la prova di lavoro che avrebbe fatto infuriare i due ex datori di lavoro che poi gli hanno teso l'agguato mortale nell'abitazione di via Vado e ne hanno straziato il corpo tagliandogli la testa e le due mani a Chiavari.
I due assassini, di nazionalità egiziana come la vittima, Bob e di Tito, sono stati smascherati dalle telecamere e arrestati dai carabinieri per omicidio premeditato perché prima di tendere l'agguato avevano acquistato una mannaia e un coltellaccio.
Mohammed, che incontriamo nel negozio di Sestri, però non crede che i due abbiano ucciso Abdalla solo perché voleva "tradirli" e andare a lavorare nella sua barberia: "Capita tutti i giorni che questi ragazzi passino da un negozio all'altro e non è mai successo niente".
Mohammed dice che da quando ha appreso della morte del ragazzo non riesce a dormire: "Quando Tito e Bob mi hanno chiesto di non assumerlo li avevo rassicurati perché non volevo problemi con colleghi mie paesani di un negozio della mia stessa zona. Per ribadirgli che non avrei assunto Abdalla li ho anche incontrati alle 14.30 davanti al mio negozio di Pegli".
Un incontro inutile: le indagini dei carabinieri dimostrano che poco prima, alle 13, Tito e Bob avevano comprato le armi per uccidere e mutilare Abdalla, un agguato che scatterà dopo le 15, nella casa di via Vado dove nei prossimi giorni, come nei due negozi degli arrestati in via Merano e a Chiavari, arriveranno i Ris di Parma per i rilievi in cerca di tracce di sangue e altre prove della mattanza.
Le ricerche in mare della testa del ragazzo intanto non hanno ancora dato nessun esito.
I due arrestati rinchiusi nel carcere di Marassi vengono sorvegliati 24 ore su 24 per paura di aggressioni e violenze dagli altri detenuti magrebini.
I genitori della vittima attraverso i social hanno chiesto al presidente della Repubblica egiziano Al Sisi di chiedere all'Italia il rimpatrio dei due arrestati perché lì sarebbero condannati alla pena di morte per impiccagione.
Un'istanza impossibile da realizzare visto che l'Italia non rimpatria i detenuti nei Paesi in cui vige la pena capitale.