GENOVA - Se i vigili del fuoco intervenuti sulle macerie del ponte Morandi il 14 agosto 2018 hanno corso dei rischi per la presenza di amianto, questo rischio non potrebbe comunque essere considerato un reato compiuto da chi li mandò in missione perché in quel frangenti "prevale l'emergenza e alcune norme non sono applicabili". Lo scrive la procura della Repubblica di Genova nella richiesta di archiviazione scritta dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dal sostituto Arianna Ciavattini per l'inchiesta aperta dopo un esposto di cinque soccorritori appartenenti al sindacato Usb. Nella denuncia i soccorritori indicarono come, dopo alcuni anni, cani impegnati in teatri gravi come il Morandi compreso morirono per malattie collegabili alla presenza di amianto.
"La maggior esposizione al pericolo per alcune categorie professionali discende dalle finalità dell'istituto, quali proprio l'intervento in situazioni emergenziali e di pericolo per la pubblica incolumità" scrive la procura. E' quindi inevitabile che "le caratteristiche ontologiche delle attività espletate dagli appartenenti al corpo dei vigili del fuoco in condizioni di emergenza" siano incompatibili con la sanzione penale".
I magistrati evidenziano infine che "le successive attività di accertamento, controllo e monitoraggio furono puntuali" mentre "nelle prime due settimane dal crollo del Ponte Morandi non furono possibili" per "preminenti esigenze di salvaguardia della vita, di sicurezza e d'incolumità pubblica". Infine, dice la procura, "i controlli non svelarono mai livelli d'amianto oltre le soglie di rischio".