"Cerchiamo con tutte le nostre forze di far vincere il bene sul male".
Ha usato parole di conforto e toni soft don Paolo, il cappellano del carcere di Marassi nel celebrare nella basilica della Nunziata il funerale a Roberto Molinari, il detenuto di 58 anni senza fissa dimora ucciso a sprangate nel sonno dal suo compagno di cella Luca Gervasio, ammazzato solo perché russava.
Nella grande chiesa tanti amici, gente dei vicoli, della comunità di Sant'Egidio, del coro della Maddalena, di cui Roberto aveva fatto parte anche se non aveva grandi capacità canore, i ricordi più belli, come ha ricordato Fabiana Deluca, anima del coro.
Dopo la funzione il cappellano ha ammesso che il carcere non è il posto giusto in cui custodire una persona fragile come Roberto, in galera per reati minori.
Nella basilica tanti vuoti, quelli dei familiari di Roberto, che non se la sono sentita di venire, ma anche gli spazi che avrebbero dovuto riempire la direzione del carcere di Marassi e lo Stato: dietro la bara nessun funzionario del Ministro della Giustizia, nè una persona con la divisa della polizia penitenziaria a testimoniare il dolore di un'istituzione dello stato a cui Roberto era stato affidato. Uno stato incapace di stare vicino al 58enne fragile quando era vivo e incapace ora anche di dargli un ultimo saluto.