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Cronaca

L'accusa era di estorsione e ricatti ai danni della società, all'epoca presieduta da Enrico Preziosi
2 minuti e 17 secondi di lettura
di redazione

GENOVA - "Le contestazioni erano abbastanza pesanti, non tanto nei numeri ma nella durezza. Ne parlai con il presidente Preziosi che mi disse che le contestazioni sarebbero finite non appena sarebbero arrivati i risultati. Con un clima così è ovvio che cerchi una soluzione. E la soluzione fu che andai ad allenare l'Atalanta, ma non venni esonerato". Lo ha raccontato in aula l'ex allenatore del Genoa Gian Piero Gasperini, oggi all'Atalanta, nel corso del processo a Genova a 15 ultrà per i ricatti alla società. L'indagine ha riguardato presunte estorsioni nei confronti della vecchia proprietà del Genoa, quando era presidente Enrico Preziosi.

"Allenai fino all'ultimo. Dopo il derby un gruppo di tifosi venne a Pegli ma la società, credo il team manager, mi disse che volevano vedere solo la squadra, non me" ha aggiunto Gasperini.

E' stato sentito l'ex giocatore Dario Dainelli. "Mi ricordo di una delegazione che venne dentro la società. Non mi ricordo cosa ci dissero, volevano più impegno dalla squadra. Non ho subito atti di violenza. Ma me ne andai via perché non mi sentivo più apprezzato".

In un momento di pausa lo storico capo ultrà Massimo Leopizzi, imputato, ha lasciato l'aula dicendo "è un processo per quattro striscioni e sembra che processino Totò Riina". A processo ci sono 15 ultrà del Genoa indagati nell'ambito dell'inchiesta sulle estorsioni alla società dal 2010 al 2017.
L'indagine era del sostituto Francesca Rombolà e del procuratore aggiunto Francesco Pinto, e aveva portato in carcere Massimo Leopizzi, Artur Marashi e Fabrizio Fileni, con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata all'estorsione e violenza privata per aver estorto al Genoa circa 327 mila euro.

Dal novembre 2021, il Genoa è passato di mano e i nuovi proprietari sono i titolari della società americana 777 Partners. Il cambio di proprietà ha portato al cambio del presidente e dell'amministratore delegato oltre che di altre figure di vertice.

L'associazione non era contestata a tutti gli indagati. Secondo gli inquirenti, il gruppo di tifosi avrebbe costretto con minacce la società, nella persona dell'ex amministratore delegato Alessandro Zarbano, a versare i soldi attraverso fatturazioni per operazioni inesistenti in favore della Sicurart, una società di cui uno degli ultrà, Leopizzi, era socio occulto. Il gruppo è accusato inoltre di avere aggredito i giocatori e gli allenatori quando non vincevano le partite o non giocavano come volevano loro. Gli ultrà, secondo l'accusa, avrebbero imposto la "pace del tifo" in cambio di denaro.

Gli imputati sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Riccardo Lamonaca, Davide Paltrinieri, Stefano Sambugaro, Elisabetta Feillene, Riccardo Passeggi e Laura Tartarini. Tra gli episodi contestati, le minacce e le intimidazioni agli altri tifosi rossoblù che non rispettavano le direttive di Leopizzi circa il comportamento da tenere dentro lo stadio, quando ad esempio veniva deciso di non entrare per protesta oppure al contrario di contestare i giocatori.