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Cronaca

In aula l'imputato di Aspi che si occupava di manutenzioni negli anni '90 quando Autostrade era pubblica: "Gli utili al massimo potevano essere l'8%". Di Castellucci aveva detto: "Era sempre orientato al massimo risparmio dei costi e degli utili"
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di Michele Varì
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GENOVA -“Quando eravamo dello Stato ero pieno di soldi, i soldi non mancavano grazie al sistema dei pedaggi perchè gli utili per l'azienda potevano essere al massimo all'8%, gli altri le spendevamo per noi...".
 
E' questo uno dei punti più importanti delle lunghissime dichiarazioni spontanee di Gabriele Camomilla, uno dei 58 imputati a processo per il crollo del Morandi. Ottantuno anni ben portati,  l'ingegnere allievo di Riccardo Morandi, entrato in Autostrade nel 1970, quando era ancora del gruppo Iri, con quelle parole sottolinea la grande differenza che esisteva fra la filosofia della gestione di Autostrade, allora dello Stato, e quella di Autostrade per l'Italia passata dal 1999 alla holding dei Benetton Atlantia. "Con i soldi ricavati al nord costruimmo le autostrade al sud", come a dire che i proventi venivano tutti investiti.
Camomilla anche se con altri concetti ribadisce quanto già riferito dopo il crollo del 2018 quando fu uno dei pochi indagati a chiedere di parlare, affermando quanto poi sostenuto anche dai pm titolari dell'indagine. Allora Camomilla disse: “Castellucci (l'ex ad di Autostrade per l'Italia) ogni volta mi chiedeva se si poteva spendere meno. Non sapeva niente di autostrade, guardava solo i bilanci. Io sostenevo che la manutenzione doveva essere un’attività continua per prevenire le criticità anche con molto anticipo. Per Castellucci, invece, se in un dato momento storico l’opera non presentava problemi, i costi di manutenzione erano da ridurre. La sua politica era sempre orientata al massimo risparmio dei costi e al massimo degli incrementi utili".

Camomilla è stato per 18 anni, dall’'86 al 2004, prima di Donferri Mitelli, direttore centrale delle Manutenzioni per Autostrade per l'Italia e ha illustrato la sua linea difensiva con slide e calcoli, un dossier di 217 esposto in aula in modo didascalico: "Per dimostrare che la storia della manutenzione del ponte è ben diversa da come ricostruita dall’accusa”.

Camomilla ha anche detto che sulla pila crollata ai suoi tempi, negli anni '90, dalle prove riflettometriche non c'era l'evidenza che fosse da rifare "e scovare gli ammaloramenti del ponte con scassi non era pensabile visto che bisognava fare carotaggi sull'intera struttura con l'effetto di indebolirla...".
Nella sua memoria l'imputato ha riabilitato il metodo riflettometrico, i discussi controlli svolti sul ponte con impulsi elettrici che dovrebbero svelare il livello di degrado dei cavi nascosti nel cemento precompresso. Una tecnica diagnostica per la procura non attendibile e per questo quasi nessuno al mondo la applica.

Il tecnico ha ripercorso la sua storia dentro Aspi e i controlli del viadotto Polcevera non facili anche per mancanza di direttive chiare, che sono arrivate solo dopo il crollo del 2018: sulle pile negli anni '90 risultavano esserci solo tre trefoli secondari rotti, dati non preoccupanti, come i 40 trefoli in meno nella pila 11 poi rifatta". Come a dire: a mie tempi tutto ok, poi dopo l'avvento di Castellucci e di Donferri, è tutto cambiato, e perchè adesso dovrei pagarne le conseguenze anche io? 

Camomilla ha poi spiegato la foto choc ritoccata con il photoshop del suo dossier in cui si vede una pila con una fessurazione, che non è altro che una provocazione: "L'ho fatto per dimostrare che se ci fosse stato una fessurazione importante si sarebbe vista anche con il binocolo". A fine udienza l'imputato sembra rimettere la casacca di Autostrade allineandosi alla tesi di gran parte degli imputati: "A mio avviso il crollo del ponte è stato causato da un vizio occulto, che non era visibile dall'esterno, se ci fosse stata una fessurazione esterna si sarebbe vista anche con il cannocchiale" ha detto facendo riferimento all'immagine da lui ritoccata con photoshop di una pila ferita".

Camomilla ha anche detto: "Non ho mai omesso. Ho fatto delle scelte ho preso delle decisioni, ho compiuto delle azioni positive, e le ho basate sugli strumenti e sulle conoscenze dell'epoca. Se oggi qualcuno si sente in grado di dire che ho effettuato delle valutazioni errate, lo dica e lo dimostri, calandosi però sulla base delle conoscenze di allora".

Ora il processo si ferma per dare modo ai giudici e alle altre parti di elaborare gli esami dei testi ascoltati negli ultimi due mesi, riprenderà fra due settimane, lunedì 11 dicembre, con gli esami dei primi testi delle difese, per ora tanti, troppi, 260, si prevede di riuscire ad ascoltare cinque testi ad udienza.

 

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