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Cronaca

L'attore genovese era stato stroncato a Roma il 29 dicembre 2021 da un mix di farmaci antidepressivi. Secondo l'accusa l'avvocato Matteo Minna avrebbe fatto sparire soldi dal conto di Calissano e di altri amministrati
2 minuti e 50 secondi di lettura
di Au.B.

ROMA - Arresti domiciliari per l'avvocato Matteo Minna, l'amministratore di sostegno di Paolo Calissano, l'attore genovese stroncato a Roma il 29 dicembre 2021 da un mix di farmaci antidepressivi.

La guardia di finanza ha eseguito la misura emessa dal gip su richiesta della procura di Genova. Secondo l'accusa avrebbe fatto sparire soldi dal conto di Calissano e di altri amministrati. Oltre agli arresti è stato disposto il sequestro di beni e conti correnti.

Gli inquirenti gli contestano il peculato aggravato perché si sarebbe appropriato di 817.326 euro, la falsità ideologica perché avrebbe redatto false relazioni di sintesi sull'andamento delle amministrazioni di sostegno a lui affidate, la falsa perizia per errore determinato da inganno perché avrebbe indotto in errore il consulente incaricato dal giudice tutelare di Genova di esaminare la gestione patrimoniale e la regolarità dei rendiconti presentati in relazione agli incarichi di amministratore di sostegno affidatigli.

Per gli investigatori del nucleo di polizia economico-finanziaria, Minna avrebbe commesso una serie di irregolarità nella gestione dei patrimoni degli amministrati (approfittandosi dell'età avanzata o delle fragilità) e di non avere presentato rendiconti. L'avvocato avrebbe prelevato ripetutamente dai conti correnti degli assistiti cifre che poi sarebbero confluite sul suo conto personale.

Tali movimenti di denaro, spesso non rendicontati al giudice tutelare, venivano giustificati quali pagamenti di fatture (false) per compensi per assistenza legale o per altre prestazioni professionali di cui non è stata rinvenuta traccia.

Per nascondere i prelievi Minna avrebbe firmato relazioni periodiche di sintesi ideologicamente false sull'andamento delle amministrazioni di sostegno a lui affidate omettendo di riferire su circostanze rilevanti. L'indagato avrebbe presentato al Ctu fatture false (in alcuni casi con numeri e date relative ad altre fatture emesse nei confronti di altri clienti, in altri casi duplicazioni di fatture precedentemente emesse nei confronti dello stesso assistito) quale giustificazione dei trasferimenti di denaro indebitamente effettuati dal conto intestato all'amministrato a favore del proprio conto personale.

L'avvocato Matteo Minna, amministratore di sostegno ai domiciliari perché accusato di avere sottratto soldi dai conti dei propri amministrati, avrebbe preso all'attore Paolo Calissano oltre 500 mila euro in poco meno di 10 anni attraverso 143 prelievi. E' quanto emerge dall'ordinanza emessa dal giudice delle indagini preliminari. Minna, difeso dagli avvocati Mario Scopesi e Maurizio Mascia, è una persona che "usa in modo strumentale la sua professione per soddisfare l'istinto predatorio. È un soggetto - scrive il gip - che agisce in modo spregiudicato poiché individua le vittime fra gli strati più fragili della società e cioè in persone che per patologie o per vicende di vita non sono più in grado di provvedere in modo autonomo a se stesse".

"Possiede inoltre notevoli capacità di affabulazione e di raggiro - continua il giudice - come comprovato dal fatto che una volta terminata la amministrazione di sostegno di Calissano si è fatto rilasciare da questi una procura generale continuando a malversare il patrimonio della vittima". Gli investigatori della guardia di finanza, guidati dal colonnello Andrea Fiducia, hanno scoperto che ancora nell'estate 2021, nonostante il giudice tutelare avesse scoperto la mala gestio del patrimonio di una degli assistiti, Minna ha falsificato una serie di fatture per coprire gli ammanchi e ingannare il consulente tecnico.

Minna è indagato anche per circonvenzione di incapace. Secondo quanto emerso l'avvocato avrebbe conquistato la fiducia di una donna con problemi di alcol e tossicodipendenza per poi sottrarle oltre 155 mila euro. "Deve ritenersi - conclude il gip - che l'attività appropriativa sia ancora in corso, circostanza che rende attuale concreto il pericolo di reiterazione di reato".