GENOVA - Ore e ore buttato su un tetto, appostato dietro una persiana, nascosto in un vicolo. Intere giornate a pedinare uno spacciatore, a piedi, in moto, in auto. Tanto da diventarne l'ombra. Si sapeva quando si iniziava ma si ignorava quando il turno sarebbe finito.
Gli sbirri dell'antidroga della squadra mobile una volta, quando ancora non c'erano i telefonini, lavoravano così.
"Ne sa qualcosa il commissario Maurizio Apicella, una vita a dare la caccia ai pusher, nei vicoli, ma anche in mille altri posti. Un poliziotto a tutto tondo che ha svolto ogni compito, da quello più delicato e antipatico, con la divisa del reparto mobile, a quello nella Sezione criminalità organizzata
Un investigatore scaltro, forse uno degli ultimi, di certo, a detta di tutti, uno dei migliori della questura di Genova sino a pochi giorni fa, quando ha festeggiato i sessant'anni e quel lavoro, che è anche stato, oltre la famiglia, la sua grande e forse unica passione, ha dovuto lasciarlo, come il distintivo e la pistola.
"Mi spiace, ma la vita prosegue", ci ha detto forse per farsi coraggio, perché consapevole che c'è di peggio che ritrovarsi a soli sessant'anni con una buona pensione dopo avere fatto per quarant'anni il lavoro che si adorava.
Maurizio, che ha lavorato per anni anche al commissariato Prè, non potevamo che incontrarlo nei vicoli di via Prè, e di notte, all'ora e nei luoghi dello spaccio, prima gestito dai napoletani, ora in mano a gang multietniche.
Quante ore si stava in appostamento per arrestare uno spacciatore?
"C'era una volta che ti andava bene e stavi un quarto d'ora, altre volte 3-4 ore per poi recuperare uno scambio, magari con una bustina di neanche ungrammo. Ci appostavamo in molti posti: nelle case, sui tetti, sui terrazzi, sopra Porta di Vacca dove c'era ancora un night...".
Abbiamo scelto di intervistare te perché godi della stima di tanti in questura e non solo, Maurizio sei, o meglio dire eri, uno degli ultimi sbirri da marciapiede. Ora si lavora in modo diverso...
"Le intercettazioni sono eccezionali, mai io lo dicevo sempre ai ragazzi, come un testamento: i GPS e la tecnologia sono utilissimi. Ma se non c'è l'uomo fuori a vedere cosa succede con la notte quando una macchina va in un determinato posto cosa succede?
Io sono contento di essere stato considerato un poliziotto anni '70. Anche quando si parla di guardie e ladri, io ho goduto e godo tutt'ora del rispetto di tante tante persone che ho arrestato, quando ci incontriamo prendiamo ancora il caffè insieme".
Parliamo delle vostre tentazioni... quando fate le perquisizioni spesso siete soli, e vi trovate davanti denaro e gioielli. Qualcuno che indossa la divisa può sbagliare?
"Sì, mi è capitato di vedere un giovane collega che stava sbagliando, gliel'ho impedito, ha capito, mi ha ringraziato".
Cosa stava facendo?
"Stava sbagliando, basta così".
Lo spaccio nel centro storico di Prè prima, ai tempi della mitica Marechiaro, era in mano ai napoletani, ora è multietnico, come è cambiato?
"Dal punto di vista della quantità non è cambiato, diciamo che prima forse dava un po' meno all'occhio perché c'erano regole. C'era un codice d'onore, noi eravamo rispettati, nessuno ci aggrediva, adesso non è più così, adesso appena interviene la polizia, soprattutto gli ultimi anni, c'è un'aggressione nei nostri confronti. Poi prima nei vicoli c'erano le vedette che avvertivano con delle parole d'ordine che segnalavano il nostro arrivo, quando ci vedevano gridavano "c'è, c'è...".
Spesso arrestate spacciatori con pochi grammi, tanto lavoro per nulla, hai mai pensato che potrebbe essere utile liberalizzare la droga leggera?
"Da uomo e da poliziotto dico no, tutte le dipendenze sono pericolose, io non bevo neanche, sono astemio".
Ma così capita che un ragazzino per farsi uno "spinello", che ormai si fanno quasi tutti i giovani, debba infilarsi in luoghi e frequentare persone pericolose come i pusher invece di andare in farmacia...
"In realtà qui in giro nei vicoli vedi solo vecchi eroinomani mentre le droghe leggere i ragazzi le comprano su Instagram o su altre piattaforme. Parliamo di ragazzini appena adolescenti di 17 anni. I ragazzini hanno i loro giri, anche scolastici".
Passiamo alle "volanti", il tuo ultimo amore...
"E anche il primo, dove ho iniziato, io lo dicevo ai ragazzi, ricordatevi che la polizia è la volante, il servizio più bello e più pericoloso perché comunque si interviene in uniforme, quindi chi ti vede sa già chi sei, a volte quando si lavora in borghese la gente si spaventa anche perchè abbiamo delle facce un po' da tagliagole. Ricordo che una volta quando ho fermato una persona mi sono sentito, "ah, meno male siete la polizia, pensavo che fossero gli altri...".
Una delle pagine nere della tua esperienza e della questura di Genova è stata quando eri alla squadra mobile e si è scoperto che alcuni della narcotici la droga la prendevano e la rivendevano.
"Allora innanzitutto io me ne sono andato prima che succedesse, perché ero entrato in discordia con alcune persone, con una di quelle, avevo capito che c'era qualcosa di strano, poi i fatti putroppo mi diedero ragione".
Diciamo che poi, magra consolazione, accade lo stesso anche con i carabinieri, diciamo uno a uno.
Ma com'era allora il rapporto fra polizia e carabinieri?
Io lo ricordo difficile, non a caso abbiamo scoperto adesso che durante il caso di Nada Cella, la segretaria uccisa nel 96 a Chiavari, non vi parlavate e questo ha precluso che le indagini arrivassero all'assassino visto lo scarso coordinamento del magistrato.I carabinieri non hanno detto alla polizia di avere trovato dei bottoni uguali a quello rinvenuto dai poliziotti. E il caso è stato riaperto dopo 26 anni solo grazie alla criminologa Delfino Pesce, capace di scoprire il particolare dei bottoni uguali.
"Dipende, ad esempio quando ero nel commissariato di questa zona, a Prè, con la stazione dei carabinieri della Maddalena e di San Teodoro e la polizia locale abbiamo avuto un rapporto splendido di collaborazione e abbiamo anche fatto degli arresti insieme. Quindi non so dire cosa accadde a Chiavari visto che di quel caso non mi sono mai occupato".