GENOVA - Abdalla era esasperato per le condizioni di lavoro a cui doveva sottostare e minacciava di andare a denunciare tutto all'ispettorato del lavoro, si sentiva umiliato perché a fronte di un contratto di 4 ore al giorno ne lavora 12 per sei giorni alla settimana prendendo 50 euro, somma da cui però doveva sottrarre le spese per l'alloggio e il cibo che consumava nell'appartamento di via Vado dove è stato ucciso.
Il possibile movente dell'omicidio di Abdalla (in alto a sinistra), il barbiere di 19 anni di un negozio di via Merano a Sestri Ponente ammazzato il 23 agosto dell'anno scorso e poi mutilato, decapitato e gettato nel mare di Chiavari, è trapelato in aula dalla testimonianza di tre colleghi della vittima nell'udienza al processo in corte di assise che vede alla sbarra i due presunti autori del delitto, Kamel Abdelwhab "Bob" (in basso a sinistra), difeso dall'avvocato Salvatore Calandra, e Mohamed Abdelghani, "Tito" (foto in alto), difeso da Fabio Di Salvo. I due, egiziani come la vittima, sono accusati di omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi: rischiano l'ergastolo.
Presente in aula come parte civile, seduto al fianco del suo avvocato Silvana Bianchi, il fratello della vittima (in basso a destra con il cappello), che ora chiede solo che venga fatta giustizia.
In aula ascoltati anche due parrucchieri della barberia di Pegli dove la vittima voleva andare a lavorare: una notizia che aveva fatto infuriare ancora di più i due gestori imputati e il titolare del negozio, Alì, che non è indagato perché al momento del delitto era in Egitto, e da dove, nonostante l'invito di carabinieri e del pm Daniela Pischetola titolari dell'indagine, non è mai più rientrato.