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Cronaca

Avvocati difese chiedono nuova perizia per ribadire che nessun controllo poteva scoprire vizio di costruzione sulla pila 9, ma i pm li inchiodano: "Lì dal '67 mai effettuati carotaggi ed endoscopie nonostante fosse nota la corrosione dei cavi"
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di Michele Varì

GENOVA - I cinquantotto imputati alla sbarra per il crollo del ponte Morandi si aggrappano all'ultima spiaggia di una nuova perizia che oltre ad allungare i tempi del processo potrebbe stabilire che nessun controllo avrebbe potuto permettere di scoprire il vizio occulto di costruzione sulla pila 9, formalmente accertato solo dopo la tragedia e che potrebbe avere provocato il crollo.

I magistrati titolari dell'indagine Massimo Terrile, Walter Cotugno e Marco Airoldi ribattono, carte alle mani, con i verbali dell'indagine che dimostrano che mai dall'entrata in funzione del ponte, nel 1967, nessuno ha mai effettuato verifiche adeguate sul punto in cui è avvenuto il distacco.
Mai nessuno ha svolto dei carotaggi e le endoscopie per verificare lo stato di corrosione dei cavi lassù, a 45 metri di altezza, dove c'era la rastrelliera e il vuoto provocato dal vizio, e non lontano dal punto del distacco.
L'unico carotaggio effettuato in tutti questi anni di manutenzione da parte di Autostrade per l'Italia e Spea è stato effettuato molto più in basso, a soli sei metri dal piano strada del viadotto Polcevera. Troppo in basso, troppo poco per giustificare una delle tragedie più gravi del nostro Paese.

Omissioni ancora più gravi, rincarano dalla procura, perchè sin dal 1992, quando si intervenne con un intervento di messa in sicurezza della pila 11, era stato provato un avanzato stato di corrosione dei cavi degli stralli. Per questo un manutentore diligente, a detta dei pm, sarebbe dovuto intervenire controllando in modo accurato anche le altre pile. Che poi è la teoria del calzolaio che fa bene il suo lavoro: se salta un tacco di una scarpa è bene dare un'occhiata e un po' di colla anche al tacco dell'altra scarpa. Una teoria che in procura definiscono della "scala a pioli": se si rompe un piolo non puoi usare la scala senza verificare gli altri, il rischio che se ne rompa un altro e tu possa cadere.

Ruota tutto intorno a queste due posizioni il futuro del processo dei processi per la tragedia del 14 agosto del 2018 che ha provocato 43 morti e che lo scorso luglio, dopo 170 udienze, ha tagliato il nastro dei due anni.

Processo che dopo la pausa estiva riaprirà l'11 settembre, tra poco meno di un mese, con gli ultimi consulenti tecnici, un ultimo testimone della difesa e poi le dichiarazioni spontanee di 13 imputati, tra cui quelli dei nomi più importanti, fra cui l'ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, l'ex direttore Paolo Berti e l'ex responsabile della manutenzione Michele Donferri Mitelli, l'uomo che aveva scritto che la pila 9 era sicura sino al 2030. Dichiarazioni che ai fini del processo, come sempre per ogni dichiarazione spontanea a cui gli inquirenti non possono porre domande, non dovrebbero apportare grandi novità.

Poi il collegio dei giudici, il presidente Paolo Lepri e Ferdinando Baldini e Fulvio Polidori (nella foto), deciderà se avallare una nuova perizia sulle macerie, a partire dal reperto 132 dove è avvenuto il distacco. Gli avvocati degli imputati, come detto, vogliono fare svolgere carotaggi ed endoscopie per dimostrare che anche svolgendo gli accertamenti adeguati scovare il vizio occulto di costruzione non sarebbe stato possibile, ma il problema vero, come rimarca l'accusa, è che quei controlli dal 1967 al 2018 non sono mai stati svolti.

Intanto il dossier che condensa le carte dell'accusa redatto dal pm Massimo Terrile, il vero regista dell'indagine, dalle oltre duemila pagine dell'inizio del processo è lievitato a 5500 pagine. Impossibile per ora sapere quando sarà depositato alle parti. L'unica certezza è che Terrile il 7 novembre andrà in pensione e non potrà più proseguire la sua opera, il suo è un vero e proprio libro in cui sono stati dettagliati, pagina per pagina, punto per punto, tutte le accuse mosse nei confronti dei 58 imputati. Un dossier contestato a inizio processo dai legali degli imputati che lo definirono un tentativo di indirizzare l'opinione dei giudici.

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