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Cronaca

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di Redazione

BUENOS AIRES - Gli è stata negata la scarcerazione, dopo che è stato citato a dichiarare di fronte alla giudice Maria Romilda Servini de Cubria del Tribunale Federale numero 1: l'ex brigatista Leonardo Bertulazzi, 73 anni, si è visto respingere la richiesta presentata dalla sua difesa. L'avvocato del terrorista ha già mosso i primi passi, riunendosi per almeno un'ora - prima dell'udienza in tribunale - con la responsabile della Commissione nazionale per l'assistenza e la protezione ai rifugiati. Al termine dell'incontro il legale ha preferito non rilasciare dichiarazioni sulla sua strategia difensiva ma è probabile che la riunione sia stata organizzata per chiarire su quali basi sia stato revocato lo status di rifugiato di Bertulazzi. La giudice Servini è ritenuta immune alle pressioni politiche, poiché fu proprio lei che nel 2003 ordinò la scarcerazione del terrorista dopo aver valutato che "la giustizia argentina non riconosce le condanne in contumacia. Il fatto che, però, "lo stesso Bertulazzi abbia successivamente fatto una richiesta formale di prescrizione della sentenza rappresenta un riconoscimento implicito della condanna", affermano le fonti del tribunale federale. L'uomo si trova ora presso l'Unità di investigazione antiterrorismo (Duia) della Polizia federale argentina.

L'uomo, dopo 44 anni di latitanza, è stato arrestato ai fini dell’estradizione. All'ex membro della colonna genovese delle Brigate rosse è stato revocato, da parte delle competenti autorità argentine, lo status di rifugiato che aveva lì ottenuto nel 2004.

Già arrestato nel 2002 dalla Polizia di Stato di Buenos Aires, a seguito di una complessa attività di indagine condotta dagli uomini della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, insieme ai poliziotti della Digos di Genova e all'Interpol, venne poi rilasciato qualche mese dopo.

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Bertulazzi, appartenente alla colonna genovese delle Br, deve espiare la pena complessiva di 27 anni di reclusione per reati che vanno dal sequestro di persona, all’associazione sovversiva e alla banda armata. Latitante dal 1980, si è reso colpevole, tra l'altro, di partecipazione al sequestro dell'ingegnere navale Piero Costa.
 
 
Pietro Costa, membro della storica famiglia di armatori liguri proprietaria della Costa Crociere, fu rapito il 12 gennaio 1977 a Genova mentre rientrava a casa a Spianata Castelletto. Sei brigatisti (tra cui Bertolazzi) lo sequestrarono e lo tennero prigioniero per 81 giorni in una casa di Via Pomposa, sotto stretta sorveglianza del brigatista Riccardo Dura.

Durante la prigionia, Costa fu costretto a vivere in condizioni precarie, vestito con una tuta, legato con catene a un giaciglio all'interno di una tenda in una stanza insonorizzata. Le Brigate Rosse chiesero un riscatto per la sua liberazione, e, dopo il pagamento di 1,5 miliardi di lire, Costa venne rilasciato il 3 aprile 1977 nei pressi di Rivarolo, Genova.

Il rapimento di Costa rappresentò la prima azione delle Brigate Rosse tipica della criminalità comune, con finalità economiche piuttosto che politiche. Il denaro ottenuto fu utilizzato per finanziare le attività della formazione terroristica. Durante la sua prigionia, il padre di Costa, Giacomino, morì in ospedale il 13 marzo 1977.
 
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Riccardo Dura, uno dei carcerieri, morì durante un conflitto a fuoco con i Carabinieri a Genova nel 1980, mentre Mario Moretti, uno dei capi delle Brigate Rosse coinvolto nel rapimento, fu arrestato nel 1981.
 
Il sequestro era finalizzato all'acquisizione di mezzi finanziari per sovvenzionare l'attività terroristica; 50 milioni di lire vennero utilizzati per l'acquisto dell'appartamento di via Montalcini 8, a Roma, dove venne tenuto prigioniero Aldo Moro.

La Polizia argentina ha eseguito la misura restrittiva alla presenza dell'Intelligence italiana e di dirigenti e investigatori della polizia italiana in servizio presso la Direzione Centrale Polizia di Prevenzione, la Digos di Genova e il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia, presenti a Buenos Aires già da alcune settimane.