GENOVA - La storia di Franco Bobba non può che iniziare da un campo di calcio (il vecchio Carlini) e da un pallone. Perché lui in quei rettangoli di gioco ha sognato di fare della sua passione il suo lavoro, e a un certo punto ce l'aveva pure fatta, perchè lui era tecnicamente molto dotato. Quasi un predestinato. Il classico 10 con i piedi educati.
Poi la vita gli ha girato le spalle: un infortunio quando giocava in serie D, nel Modica, in Sicilia, quando stava per spiccare un salto ancora più in alto; una scelta sbagliata, dettata dal cuore, di prestare tutti i risparmi all'amico fraterno, che però non glieli ha mai restituiti perchè schiavo del gioco.
Un errore che Franco ha pagato con gli interessi: la crisi con la mamma di suo figlio, la donna della sua vita, che gli fa luccicare ancora gli occhi, è stata una conseguenza.
Da lì è precipitato, è finito in un abisso, è andato fuori gioco. Non c'è stato neppure il tempo di capire e si è ritrovato in strada, solo e a dormire in un dormitorio, a condividere una camera con sbandati, tossicodipendenti, malati di gioco, psichiatrici.
Franco però non si è mai arreso e anche grazie al suo gol più bello, il figlio, e alla famiglia del Ceis, il Centro di Solidarietà creato da Bianca Costa, si è rialzato. Ora è tornato sui campi: allena una squadra di giovani migranti richiedenti asilo e il suo miglior risultato non è farli vincere sul campo ma nella vita, quella vita che lui riassapora ogni volta che torna su un campo di calcio e accarezza un pallone. Come quando era un bambino e immaginava di diventare calciatore.
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