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Cronaca

Il giovane ha parlato ai margini dell'udienza in cui il legale di Bob chiede l'assoluzione per il delitto mentre quello di Tito ribadisce che l'omicidio non è stato premeditato né commesso per futili motivi
3 minuti e 21 secondi di lettura
di Michele Varì
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GENOVA - Hamid, 24 anni, (nella foto) il fratello maggiore della vittima Mahmoud Abdalla, che di anni ne aveva 18, quando esce dall'aula in qualità di parte civile lo dice senza dubbi: "Sono tutti e due colpevoli dell'omicidio, sennò non andavano a comprare i coltelli insieme...".

Abitante a Milano, il ragazzo, sta assistendo a tutte le udienze del processo a pochi metri dai due imputati, uno dei quali, Bob, oggi gli avrebbe anche fatto un gestaccio mostrando il dito medio. Uno sfregio e una minaccia che sarebbe stato riferito ai giudici.

La posizione di Abdelwahab Gamal Kamel, 27 anni, detto Tito, e Mohamed Ali Abdelghani Aly, alias Bob, i due egiziani alla sbarra davanti alla corte di assise che rischiano l'ergastolo per l'omicidio del barbiere ucciso, mutilato e decapitato la scorsa estate in un'abitazione di via Vado a Sestri Ponente, è stata difesa oggi dai loro legali davanti ai giudici della Corte d'Assise.

Il pm Daniela Pischetola la scorsa udienza aveva chiesto per entrambi il carcere a vita per l'omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili e abietti motivi, perché il barbiere sarebbe stato ucciso perché aveva denunciato le sue condizioni di lavoro alla guardia di finanza nel negozio di via Merano e voleva vendicarsi andando a lavorare in una barberia a poca distanza.

Salvatore Calandra, avvocato di Bob, fratello del proprietario della barberia, ha detto che il suo assistito è innocente perché non ci sono prove che sia colpevole dell'uccisione e ci sono tutta una serie di riscontri che provano questo, "primo fra tutti quello che Tito mai accusa Bob di avere ammazzato o partecipato all'omicidio, e poi le telefonate fra il proprietario del negozio, Alì, e Tito, i messaggi fra la vittima e l'ex datore di lavoro che ha testimoniato in aula, le intercettazioni nella caserma dei carabinieri, tutto questo dimostra che l'alterco è fra Tito e Abdalla, dalla quale lo stesso Tito dice che accidentalmente è avvenuto il ferimento di Abdalla".

Alla domanda perché anche il giorno dopo Bob non si è svincolato da Tito tanto da venire ripreso dalle telecamere a sorridere insieme a lui, Calandra risponde: "Come ho detto anche in aula alla corte, Bob dopo l'omicidio Bob aveva due possibilità: provare a denunciare quanto accaduto o provare aiutando Tito a disfarsi del cadavere ad allontanare anche da sé le indagini, ricordiamoci che Bob non parlava italiano e si trovava in un Paese straniero e non aveva nessun tipo di elemento per andare a denunciare il fatto. Il suo comportamento, insomma, è giustificato dalla paura di essere coinvolto nell'indagine".

Sul fatto che Bob avrebbe partecipato allo smembramento del cadavere Calandra spiega: "Quello che è certo è che Bob ha portato le valigia sino alla foce dell'Entella a Chiavari e poi spariscono dalle telecamere per un'ora in cui uno dei due o entrambi, questo forse non lo sapremo mai, hanno partecipato allo smembramento, ma sulla responsabilità per smembramento o soppressione non ci sono dubbi, per soppressione si rischia da due o sette anni di reclusione".

Dopo Calandra l'arringa di Fabio Di Salvo, avvocato di Tito in aula insieme al suo collega Massimiliano Germinni, ha detto che è stato Abdalla ad andare contro di loro e poi nella colluttazione lo stesso sarebbe caduto sul coltello.

I legali hanno poi argomentato che Tito non merita il carcere a vita: "E' una questione tecnica, per noi non è un delitto aggravato e riteniamo che la versione del nostro assistito sia molto più credibile di quella del coimputato, a nostro parere ci sono molti elementi per ritenere che sia successo qualcosa e una colluttazione non voluta e non premeditata".

Per Di Salvo e Germinni non può essere addebitata la premeditazione dei futili motivi né ritenere la motivazione abietta visto che il delitto sarebbe accaduto per contrasti legati a problemi di lavoro fra imputati e vittima. "Abietto e ripugnante può essere invece quello accaduto dopo l'omicidio".

Di Salvo alla fine dell'udienza alla domanda di Primocanale su chi ha ucciso Abdalla risponde così: "Questo non lo dovete chiedere a me, dico solo che la morte di un ragazzo di 19 anni rende il procedimento triste".

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