Silvana Smaniotto, la mamma di Nada Cella, non sarà in tribunale: troppo cocente la delusione per il non luogo a procedere del gip Nutini per rischiare di vivere in diretta un altro stop dai giudici.
Un giallo lungo 28 anni
Domani il cold case di Chiavari sull'uccisione avvenuta il 6 maggio del 1996 della segretaria di 24 anni arriva davanti ai giudici della corte di appello che potrebbero portare a processo Anna Lucia Cecere, unica indagata per l'omicidio "cold case", un tentativo della procura di ribaltare la sentenza dello scorso marzo della giudice per l’udienza preliminare.
Sott'accusa anche Soracco e la madre
A rischiare di finire a processo non solo l'ex insegnante di 58 anni ora residente nel cuneese ma anche il commercialista titolare dello studio, Marco Soracco, e l'anziana mamma Marisa Bacchioni: per gli inquirenti avrebbero taciuto per convenienze personali di avere visto Cecere sul luogo del delitto e per questo accusati di favoreggiamento.
La famiglia: "Ignorati nuovi indizi"
Al centro dell'udienza la memoria degli avvocati Franzone e Razetto della famiglia Cella, un dossier in cui si parla degli «Indizi incredibilmente ignorati dal gip», come le venti e più testimonianze raccolte alla riapertura delle indagini nel 2021 da persone mai sentite prima. Si parla anche di elementi «completamente trasfigurati, tanto da compromettere la sentenza» impedendo di riconoscere la «rilevante gravità» degli «elementi probatori a carico dell'indagata Cecere».
Cold case riaperto da una criminologa
Il caso è stato riaperto tre anni fa dalla criminologa Antonella Delfino Pesce scoprendo che i carabinieri trovarono in casa di Cecere bottoni uguali a quello sporco di sangue rinvenuto nello studio, ma non lo rivelarono ai poliziotti titolari delle indagini.
Quell'intervista dell'ex legale dell'indagata
Cecere, difesa dall'avvocato Gianni Roffo, si proclama innocente affermando che all'ora del delitto era a lavorare. Ma contro di lei ci sarebbero anche le dichiarazioni della sua ex legale, ora deceduta, che nel '96 aveva riferito a un giornalista che la sua assistita si trovava solo per puro caso davanti al palazzo del delitto, di fatto smentendo l'indagata.