Benvenuti a Victory, una nuovissima comunità degli anni '50 creata in mezzo al nulla con case sontuose e perfetti cortili identici l’uno all’altro dove la vita scorre in maniera idilliaca. Al mattino, i mariti escono per andare a lavorare, valigette in mano, mentre le mogli si mettono in fila su perfetti vialetti di cemento per baciarli e salutarli mentre si allontanano all'unisono verso il quartier generale dell’azienda in cui lavorano dove svolgono importanti mansioni nel campo non ben precisato dello "sviluppo di materiali progressivi”. Le mogli non sanno cosa fanno esattamente e non vogliono saperlo. Mogli che una volta che i loro compagni se ne sono andati si mettono immediatamente in azione, pulendo la casa come perfette massaie, facendo shopping, frequentando lezioni di danza classica e prendendosi cura dei bambini fino al momento di preparare la cena, insalata di tonno e uova alla diavola.
Tutti hanno una venerazione quasi divina per il fondatore della comunità, Frank, che trasmette filosofie futuriste ma vaghe, manipolative e assetate di potere che suonano come velate coercizioni. Alice capisce poco di tutto questo e all’inizio mette da parte le sue piccole preoccupazioni ma quando l’amica Margaret si emargina dalla comunità apparentemente impazzita, comincia a fare domande scomode, prima fra tutte “perché siamo qui?", e poi muore improvvisamente il suo mondo si capovolge e nonostante il marito Jack le ricordi quanto ogni cosa a Victory sia meravigliosamente sicura la donna inizia una personale caccia alla verità.
Preceduto da rumour insistenti che sottolineavano i rapporti non proprio idilliaci intercorsi durante la lavorazione tra la regista Olivia Wilde, qui alla sua opera seconda, e la protagonista Florance Pugh, direttamente da Venezia dove è stato presentato fuori concorso arriva ‘Don’t worry Darling’ che vede nel cast anche l’ex-‘One Direction’ Harry Styles, compagno della Wilde. Una storia alla ‘Truman show’ - immersa in un contesto fra il thriller e la fantascienza cui si aggiungono temi come il malessere suburbano, il cieco ottimismo e la negligenza sociale del pittoresco stile di vita da sogno americano che veniva venduto nelle riviste - ma abbastanza meccanica e priva di fantasia, già raccontata in passato, e in maniera migliore, in molti altri film. Ed è una delusione per chi come me aveva apprezzato l’esordio cinematografico di Olivia Wilde ‘La rivincita delle sfigate’: tanto folle ed eccentrico quello, quanto inconsistente e prevedibile questo.
Così tra le cose migliori restano gli omaggi ai caleidoscopici spettacoli di danza di Busby Berkeley, perché Alice è ripetutamente colpita da immagini in bianco e nero di showgirl che ballano in formazioni circolari tipiche dei musical del grande regista americano degli anni ’30 e ’40: visioni vertiginose che si dissolvono rapidamente aggiungendosi ad un crescente senso di dislocazione temporale che prova la protagonista e che alimentano nello stesso tempo l'atmosfera di un mondo orchestrato da uomini in cui le donne esistono soltanto per esibirsi ed essere guardate secondo un ordine patriarcale nel quale la loro unica aspirazione è quella di cresce figli e sottostare ai desideri, anche sessuali, dei propri uomini. E così, in un cumulo di allucinazioni, incidenti stradali, cene minacciose e inevitabili accuse di isteria, "Don't Worry Darling" può anche essere visto (con molta fantasia, eh) come una storia di liberazione #MeToo dai toni retrò dove una donna realizza gradualmente l'intera portata dell'incubo che sta vivendo cercando di trovare disperatamente una via d’uscita.