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Cultura e spettacolo

La protagonista Cate Blanchett ha vinto a Venezia la Coppa Volpi per la migliore interpretazione ed è candidata all'Oscar
2 minuti e 22 secondi di lettura
di Dario Vassallo

Appassionata, esigente, autocratica, con un prestigio da rockstar, Lydia Tar, chiamata dai colleghi ‘Maestro’, direttrice principale della Filarmonica di Berlino, tra i pochissimi al mondo a far parte del gruppo EGOT (coloro cioè che hanno vinto i premi Emmy, Grammy, Oscar e Tony) si sta avvicinando ad una nuova sfida: una registrazione dal vivo di Mahler per la prestigiosa Deutsche Grammophon. Lesbica, convive con la prima violinista con la quale ha adottato una figlia. Ma non tutto luccica: un programma di borse di studio che gestisce si vocifera sia per lei lo strumento per intrecciare relazioni con giovani donne mentre è perseguitata da un’ex-allieva per la quale è diventata un’ossessione. Tutto ciò la renderà paranoica determinando alla fine una crisi profonda nella sua carriera.

‘Tar’ di Todd Field che ha permesso a Cate Blanchett di vincere la Coppa Volpi a Venezia per la migliore interpretazione femminile, è una storia spietata ma intima di arte, lussuria, ossessione e potere che attraversa il mondo della musica classica contemporanea attraverso il ritratto di una donna con un modello intellettuale che si è creata come una sorta di marchio: è un’entusiasta studiosa delle partiture che dirige, un’insegnante appassionata, una tecnologa delle registrazioni ma anche una celebrità che capisce che dirigere è una dittatura. Blanchett la interpreta con repentini cambiamenti di umore e l’espressione che passa in un attimo da una signorile eleganza ad una maschera di disprezzo trattando l'indulgenza sessuale come qualcosa che ha la licenza di fare. Un atteggiamento, d’altronde, che emerge dal mondo della musica classica che ha avuto la sua parte di donnaioli e predatori.

La ragione di tutto ciò, suggerisce Field, è che c'è qualcosa nella natura di questa musica che porta le persone che vivono ogni giorno nella sua inebriante grandezza a sentire come se il piacere fosse un loro diritto divino. Il che rende il film anche una metafora di quanto accaduto negli ultimi tempi col movimento #MeToo che ha abbattuto i titani in molti settori, ma soprattutto nelle arti. Lydia Tár diventa proprio una figura del genere ma il regista in questo discorso molto contemporaneo sembra sottolinearne sia l’urgenza che il timore che a volte ci si sia spinti troppo in là.

Catturando le minuzie di un mondo molto particolare, ‘Tar’ racconta in definitiva un personaggio selvaggio ma estremamente sincero ricoperto di mille di sfumature di grigio, la storia di una donna la cui aspirazione a incarnare la grandezza del passato rende vulnerabile alle insidie del presente all’interno di un sistema che l'ha convinta che può affermare il suo status solo abusando di esso in ogni occasione. Il film non ha pietà per la traiettoria di Lydia, ma forse piange silenziosamente per l'arte e Blanchett, che vola così in alto fino a bruciarsi, assume i contorni di un magnifico ma inquietante Icaro del 21° secolo