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Cultura e spettacolo

Ha sbancato gli Oscar vincendo sei statuette, le più importanti
3 minuti e 0 secondi di lettura
di Dario Vassallo
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Ci voleva l’enorme successo ottenuto agli Oscar (a mia memoria è il primo film nella storia che tra i sette premi principali – film, regia, attori protagonisti, non protagonisti e sceneggiatura – se ne aggiudica sei) per riportare sui nostri schemi ‘Everything Everywhere All at Once’ dopo un’uscita in sordina nell’ottobre scorso di cui si ricordano in pochi. Curioso, per una commedia totalmente folle, un tornado irresistibile che gioca con i riferimenti cinematografici e ci invita a condividere le domande esistenziali serie e universali di una madre annegata in un oceano di possibilità.

La povera Evelyn Wang è una cino-americana cui il mondo sta crollando addosso: la lavanderia a gettoni che gestisce con il marito Waymond è sottoposta a una revisione contabile da parte dell’agenzia delle entrate che le contesta la dichiarazione dei redditi; lo stesso Waymond chiede il divorzio, anche se lei non lo sa ancora; la figlia adolescente Joy si dichiara lesbica e vuole che la propria ragazza venga trattata come parte della famiglia mentre dalla Cina è arrivato l’irascibile padre con cui Evelyn non ha mai avuto un rapporto soddisfacente. Durante un colloquio con un’agente fiscale, Waymond entra improvvisamente nella testa di Evelyn e le rivela che l'universo in realtà è un multiverso in cui esistono tanti mondi paralleli. Non solo, è anche minacciata da una figura chiamata Jobu Tupaki che solo lei ha la capacità di sconfiggere. Così le racconta di come le persone possano accedere a tutti i loro vari sé, dandole i mezzi per esaminare le sue tante vite dove apprende di essere una star del cinema, una chef, un'esperta di arti marziali e molte altre cose ancora.

Diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert (noti collettivamente come i "Daniels"),‘Everything Everywhere All at Once’ è una commedia nera totalmente fuori dagli schemi, un miscuglio di fantascienza, arti marziali, azione e avventura che sfida ogni possibile etichetta. Sarebbe stato facile che l'idea principale si perdesse tra umorismo assurdo, coreografie d'azione o ritmi frenetici ma non è così ed è il motivo per cui vale la pena di seguire il viaggio che il film propone. È vero che a volte perde slancio, il concetto di multiverso è un po' contorto e la storia qua e là diventa confusa ma sono piccole pecche rispetto al risultato finale, rifinito da una travolgente Michelle Yeoh, dal ritorno di Jamie Lee Curtis nella commedia e da quello di Ke Huy Quan quasi 40 anni dopo aver intrecciato la sua strada con Harrison Ford da bambino in ‘Indiana Jones e il tempio maledetto’.

Un film folle, frenetico e diverso ma soprattutto con molto cuore che non smettere mai di sorprenderti mentre ti manda un messaggio di speranza quando sottolinea come colmare l’abisso generazionale che spesso si apre tra genitori e figli. Di questo abisso la giovane Joy ne è la testimonianza più evidente portando dentro di sé il peso dell’incomunicabilità tra la madre e il nonno e la delusione per un sogno americano non realizzato che si traduce in una ribellione così grande da estendersi oltre i multiversi in un buco nero pronto a risucchiare tutti nel vuoto. Ma se questo vuoto nasce da un trauma generazionale, i Daniels ipotizzano che possa essere invertito attraverso l'amore incondizionato che si tramanda comunque da una generazione all’altra, se scegliamo la compassione e la comprensione al posto del giudizio e del rifiuto. Certo, spesso nella vita regna il caos tanto che può avere senso solo in alcuni fugaci momenti, ma sono quei momenti che dovremmo imparare ad apprezzare. Momenti di amore e cameratismo. A volte accadono nel tempo, a volte – come sottolinea il titolo - tutti insieme. All at once.