Oggi sono disponibili 37 diverse varianti di modelli ‘Air Jordan’. Dai campi di basket alle strade, le sneakers della Nike sono diventate un caposaldo della cultura americana. Con ‘Air – La storia del grande salto’ Ben Affleck, qui regista e interprete insieme a Matt Damon e Viola Davis, ci invita nel quartier generale della Nike per farci rivivere la vicenda che si cela dietro la popolare scarpa che è stata costruita esclusivamente per il leggendario atleta da cui prende il nome: Michael Jordan, probabilmente il più grande giocatore di basket di tutti i tempi.
Ambientato nel 1984, Affleck interpreta il fondatore della Nike Phil Knight, un leader ambizioso, ribelle e appassionato. Durante questo periodo, la sua azienda non aveva lo stesso successo dei concorrenti Adidas e Converse. Il guru incaricato di cambiare lo stato delle cose era Sonny Vaccaro. Quando il consiglio di amministrazione lo mette in discussione cerca di fare qualcosa di impensabile: ingaggiare un debuttante dei Chicago Bulls, un diciottenne di nome Michael Jordan, per cambiare le carte in tavola e commercializzare un marchio. Naturalmente l’idea incontra resistenze e ostacoli. Per ingaggiare Jordan deve passare attraverso il suo arrogante agente e facendo pochi progressi decide allora di avvicinarsi all’atleta attraverso i suoi genitori nel tentativo di conquistarli, un approccio audace considerato poco professionale dai colleghi.
Come la storia è andata a finire lo sappiamo ma ‘Air’ ha il merito di rientrare nella categoria di quei film – vedi ‘Titanic’ o ‘Tutti gli uomini del presidente’, tanto per fare due esempi - che ti avvincono comunque, nonostante tu conosca perfettamente la conclusione. E ciò vale, credo, anche per tutti coloro che non conoscono o non amano il basket perché quello che resta è una storia sportiva che non riguarda realmente lo sport ma piuttosto le persone dietro le quinte. Un film sulle leggende create dalle leggende, l'ultimo esempio del sogno americano, di come un eccezionale atleta nero abbia sfruttato il suo talento - e il potere di essere inseguito da un gruppo di uomini bianchi - per cambiare il gioco. Non solo il basket, ma l'intero campo delle sponsorizzazioni delle celebrità.
C'è qualcosa di intrinsecamente strano nel fatto che in questo film Michael Jordan non dica una parola e venga mostrato quasi sempre sfocato o di spalle ma Affleck deve aver pensato, probabilmente non a torto, che un attore-controfigura avrebbe spezzato l’incantesimo del film. Un film che ha un cuore, che non ha paura di essere sdolcinato e sincero riguardo all'amicizia e ai valori familiari e non è eccessivamente banale per ciò che concerne argomenti che di solito sono cliché, come l'arte di rischiare e il fidarsi del proprio istinto. Insomma, una storia che meritava di essere raccontata.