Una casa a due piani in un quartiere alla periferia di Detroit nel 'Giardino delle vergini suicide', un hotel a Tokyo (Lost in translation), il palazzo di Versailles (Maria Antonietta), un collegio femminile durante la guerra di secessione americana (L’inganno): tutte queste residenze sigillano e isolano le giovani donne che sono protagoniste abituali dei film di Sofia Coppola. L’ultima ad essere in qualche modo murata viva è Priscilla Presley, ancora liceale quando nel 1963 si trasferisce a Graceland, la storica dimora di Elvis, per stare con la grande star che sposerà quattro anni dopo divorziando poi nel 1973.
‘Priscilla’, ultimo film della figlia di Francis Ford Coppola, inizia con la protagonista che trascorre un’adolescenza piuttosto infelice in Germania nella base nordamericana dove è di stanza il patrigno. Viene invitata ad una festa alla quale partecipa anche l'idolo del momento che lì sta svolgendo il servizio militare. Fin dal primo sguardo i due provano un'attrazione irresistibile l'uno per l'altra, anche se il cantante la corteggia castamente controllando la passione a causa della tenera età dell’adolescente che ha dieci anni meno di lui. Dopo molti alti e bassi emotivi, Priscilla va a vivere a Graceland dove scoprirà la personalità turbolenta del suo ammirato fidanzato che detta le regole del loro rapporto, aspettandosi tutto e non promettendo niente. Lei deve soltanto rimanere la sua bambina.
Sulla scia del travolgente ‘Elvis’ di Baz Luhrmann ecco l'adattamento di Sofia Coppola del libro ‘Elvis and me’ scritto dalla stessa Priscilla Presley che racconta l'infatuazione, il romanticismo e la disillusione dei suoi anni formativi e come in definitiva fu plasmata da un uomo contorto e difficile. Così, con la stessa Presley a bordo come produttrice esecutiva, il film è tutt’altro che un'agiografia del re rappresentando piuttosto l’opportunità di esplorare non solo la seduzione e il fascino di quella relazione, ma anche la coercizione, l’isolamento e il viaggio verso l’emancipazione vissuto da una ragazza che passa dall'essere una musa adolescente a una moglie messa da parte.
Rispettando tutta l'iconografia dell'adolescenza della metà del secolo scorso e tenendo a debita distanza la musica di Presley, qui praticamente assente probabilmente per un problema di diritti non concessi, Coppola sembra così rispettosa del materiale originale e della posizione di Priscilla come custode dell'eredità di Elvis che annacqua tutto - la rabbia incandescente dell’artista, la sua vena crudele, l'adulterio e il razionamento sessuale - in un senso di timidezza e delicatezza che non è nelle sue corde. Ne vien fuori un film biografico sbiadito, un progetto privo delle qualità che hanno contraddistinto le sue cose più riuscite: nonostante ‘Priscilla’ abbia molto in comune con ‘Maria Antonietta’ mostrando un universo di colori sorprendenti e azioni tra sogno e realtà come fossero due fiabe non esenti da un certo lato perverso, questo edonismo si allontana dall'umorismo aspro di Lost In Translation e dall'acidità malevola dell’'Inganno'.
Inoltre, lei che ha illuminato in modo così sorprendente i misteri dell'adolescenza nel ‘Giardino delle vergini suicide’, non riesce a render vivo alcun aspetto dell'interiorità di Priscilla che pure è una giovane donna alla ricerca di se stessa il cui spirito viene lentamente annientato perché il mondo intorno a lei le dice che è semplicemente un ingranaggio (sostituibile) nella macchina delle celebrità. Così ‘Priscilla’ resta fondamentalmente un film "metoo" su una relazione malsana e a volte tossica. Un po' vuoto nelle emozioni affronta sentimentalismo e mal d'amore senza riuscire a trasferire queste sensazioni allo spettatore.