Dal rapporto con la madre a quello con la malattia e la morte: è questo il fil rouge dell'autrice e regista Emanuela Messina che ha portato in scena il suo doppio spettacolo. Entrambi sono andati sold out. Il primo, "Meno male che ce n'è una sola", racconta di due figli che si recano al cimitero a trovare la madre e, in una sorta di dialogo come se fosse ancora viva, i due ripercorrono la loro vita e i momenti che hanno contraddistinto il loro rapporto con lei e il padre, oltre al loro rapporto malato con il cibo come conseguenza della complessa disfunzionalità della famiglia. "Può sembrare un racconto crudo ma quando si tratta di disturbi alimentari questo è il senso del contesto e del contenuto, del rapporto con la famiglia. Dicono gli psicologi che nei primi due anni di vita il dado sia tratto per tutto quello che concerne i rapporti futuri, si parla spesso di seno buono e di seno cattivo da parte della madre perché anche lei non è infallibile - racconta a Primocanale la scrittrice e sceneggiatrice Emanuela Messina -. Non vuole essere un attacco alla maternità, bensì una constatazione che nei rapporti con i figli i genitori commettono degli errori che possono essere fatali nei rapporti futuri proprio con i loro figli".
E quando ci sono difficoltà con se stessi, con il proprio corpo, spesso a rimetterci è il figlio che cade in una sorta di isolamento, necessario per sopravvivere al malessere interiore. "L'isolamento contraddistingue i disturbi alimentari e in ragione del mio lavoro mi sono trovata spesso con minori che hanno queste problematiche: la prima cosa che ci troviamo di fronte è proprio quella legata all'isolamento, ed esiste un vero stigma sociale" prosegue Messina. A questo si affiancano i classici stereotipi: troppo magre, troppo in carne, e la solitudine si pone al centro, in rapporto a quello che è il modello di famiglia felice del Mulino Bianco a cui tutti vorremmo tendere ma che la realtà però ci dice essere molto più variegata. "C'è una grande differenza da quella che è un'iconografia della famiglia perfetta - prosegue Emanuela Messina -. La solitudine serve per ripiegare su se stessi, proprio perché non si riesca a uscire da questo loop, non riuscendo a contraddire i genitori. Avere consapevolezza di ciò non è facile e bisogna fare un grande lavoro su se stessi". Il vero problema è che non sempre si è in grado di farlo, almeno non da soli.
Il secondo, "Il gentile", racconta di un maturo neurochirurgo e psichiatra di origine ebraica che, dopo aver scoperto di essere stato colpito da un tumore inoperabile al cervello, decide di stravolgere la sua vita e di trasferirsi in riviera. Proprio lì conosce una giovane dottoressa, con la quale inizia una relazione. Presto scoprirà che lei ha alle spalle una famiglia disfunzionale, decide così di sfruttare i sentimenti che la donna prova per lui, per aiutarla ad acquisire la consapevolezza di sè per liberarsi così del passato. "In questo spettacolo ho portato contenuti importanti, dalla dipendenza affettiva al narcisismo, passando per il rapporto con la morte e la malattia. Si parla anche di ebraismo, proprio sullo sfondo dell'antisemitismo, molto attuale al momento. "Le donne hanno sentito ripetersi, come un mantra, che non sono nessuno se non hanno un uomo accanto. Così sono cresciute le donne della mia generazione - spiega Emanuela Cavallo -. Quelle attuali si sono liberate da questo e riescono ad avere vita autonoma e a pensare da sole. Non significa che non sia una bella cosa avere una famiglia, tutt'altro, io ne sono l'emblema, sono sposata da 40 anni con mio marito".
Ma dipendenza affettiva significa: io sono come mi vuoi tu e non come sono io. E questo significa che la propria personalità viene abortita in favore di quella di un altro, solo per catturare le sue attenzioni. "E questa è una brutta cosa, perché non si può rinunciare alla propria personalità. Ho voluto sottolineare anche il tema della dignità della malattia. In Italia abbiamo un brutto rapporto con la malattina e la morte. Faccio un esempio: mia madre non mi portava mai ai funerali, ma credo che sia fondamentale migliorare ilrapporto con la morte per migliorare anche la vita" ha concluso Messina. In Messico i parenti pranzano, una volta all'anno, con i loro cari defunti, per stare insieme. "Noi vediamo in modo superstizioso la morte, e invece bisogna parlarne perché fa parte della vita".