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Cultura e spettacolo

3 minuti e 9 secondi di lettura
di Dario Vassallo

'Il gladiatore', 'Prometheus', 'Alien covenant', 'Sopravvissuto - The martian': sono soltanto alcuni dei film montati da Pietro Scalia, nato a Catania da famiglia di origini pugliesi e poi trasferitosi negli Stati Uniti passando per la Svizzera, che si è conquistato un posto d'onore nel cinema contemporaneo guadagnandosi quattro nomination all'Oscar vincendo due statuette, nel 1991 per 'JFK - Un caso ancora aperto' di Oliver Stone e nel 2002 con 'Black hawk down' di Ridley Scott.

Cosa le è rimasto dell'Italia? "Mi sento italiano a tutti gli effetti e anche se sono cresciuto in Svizzera perché tutti i miei parenti erano lì ogni anno per le vacanze tornavamo a Gallipoli"

Tanto che nel discorso di accettazione del secondo Oscar lei ha concluso con un 'Viva l'Italia' "Esatto! E' successo perché la prima volta, quando ero poco conosciuto, dopo che avevo ringraziato i miei familiari e i miei amici in Italia e in Svizzera alla conferenza stampa che è seguita alla premiazione in molti mi avevano chiesto: ma tu cosa sei? Italiano, svizzero, italo-americano? Così ho detto tra me e me: se dovesse capitare una seconda volta toglierò ogni dubbio. E ho fatto trasparire tutto l'orgoglio di essere italiano".

A proposito di Oscar. C'è il momento in cui vengono pronunciati i nomi dei cinque nominati e poi quello del vincitore. Cosa si prova nell'attesa? "Terrore. Mi ricordo la prima volta quest'angoscia, la difficoltà a respirare, lo stomaco che si stringe. C'è questa tensione poi l'emozione è indescrivibile, sali sul palcoscenico, vedi tutto lo star system davanti a te che ti applaude e pensi: no, non è vero, non può essere così. Bellissimi ricordi"

Come si diventa montatori? "Io ho studiato alla scuola di cinema di Los Angeles ma non è che volessi fare questo mestiere. Ho cominciato girando piccoli documentari ed è in questo modo che ho scoperto il potere del montaggio lavorando con passione visto che è una vera e propria arte, magari poco conosciuta perché tante persone non sanno esattamente cos’è che facciamo. Ricordo che mia madre mi diceva: ma che ci vuole, tagli un pezzo lì, un altro pezzo là e il gioco è fatto. In realtà non è proprio così, è tutto complicato dall'inizio alla fine. E' un'arte misteriosa ma con un grande potere e come dicono in tanti anche l'ultima stesura del film"

Può capitare che alcuni film prendano realmente corpo al montaggio, fino addirittura a stravolgere l'idea iniziale? "Può succedere. Non è sempre così però tante volte ci sono cambiamenti talmente enormi che determinano notevoli conseguenze. Per esempio 'JFK' è stato completamente ristrutturato nella versione originale rispetto a come era stato scritto, diretto e girato. Poi possono cambiare completamente certe performance rispetto a quello che un attore si può aspettare. Ricordo in 'Will hunting - Genio ribelle' che quando feci vedere il film a Robin Williams che era il protagonista lui rimase un pò perplesso perché non ritrovava le sensazioni di quando aveva recitato. Era l'unico attore che chiedeva al regista Gus Van Sant di ripetere più volte le varie scene ma per me più ciak si facevano più lui diventava meccanico per cui alla fine ho scelto sempre o il primo o il secondo ciak, quelli che lui pensava fossero i peggiori, dove invece era più naturale, più vero. Credo di aver avuto ragione io dal momento che per quel film vinse l'Oscar"

Le è mai venuta voglia di fare un film da regista? "Il desiderio c'è sempre stato ma ormai sono passati così tanti anni... Come sottolinea questo Festival dedicato agli under 35 è meglio che il cinema sia fatto da giovani"

Che esperienza è quella che sta vivendo in questi giorni? "Bellissima. Il concorso è ricco di talenti, l'accoglienza splendida, c'è una familiarità con i filmaker e gli altri giurati che altrove non esiste. Poi il mare, il cibo... Che si può volere di più?