Nel 1979 il regista australiano George Miller fece il suo debutto con ‘Interceptor’, un film indipendente ambientato in uno scenario post-apocalittico che vedeva come protagonista l'ex poliziotto Max Rockatanski detto "Mad Max" che dopo essersi scontrato con una banda di motociclisti abbandonava l'uniforme per diventare un guerriero della strada. Quarantacinque anni dopo Miller alla soglia degli ottant’anni sta ancora divertendosi con il quinto capitolo di questo franchise che strada facendo ha cambiato storie e personaggi.
Quello immediatamente precedente girato nel 2015, ‘Mad Max: Fury Road’, era incentrato su un’altra figura sola che con la fronte annerita e un braccio biomeccanico diventò immediatamente un'icona cinematografica infiammando lo schermo: l’imperatrice Furiosa interpretata da Charlize Theron. Ecco ora ‘Furiosa: A Mad Max Saga’ che ne rappresenta il prequel: una porzione epica nella creazione di un mito, un’odissea omerica che amplia il mondo distopico in continua espansione in cui è ambientato e qualcosa che ridefinisce le aspettative su ciò che può essere un film d’azione.
Laddove ‘Fury Road’ si gicava tutto in sole 36 ore, questa storia abbraccia 15 anni. Laddove ‘Fury Road’ era un'estasi d'azione singolare e inarrestabile, questa ha una tensione più episodica, divisa in cinque capitoli. Dunque diverso, eppure indissolubilmente legato ad esso mostrandoci non solo luoghi prima appena intravisti o cui si era solo accennato ma raccontandoci le origini della protagonista di quel film portandola dalla prima infanzia alla sua affermazione come guerriera.
Siamo tornati nel frastuono infernale della “terra desolata”, dove gli esseri umani esistono in una “vita a metà” e si impegnano in una battaglia disperata per la sopravvivenza vagando per il deserto indossando caschi con teschi su moto e camion truccati. Furiosa proviene da "un luogo di abbondanza", una comunità sulle colline lontana dalla sporcizia e dallo squallore del deserto sottostante. La giovane viene però rapita e portata in un campo gestito dal signore della guerra Dementus che le uccide la madre, finirà poi schiava del grottesco tiranno dai capelli argentati di ‘Fury Road’ Immortan Joe prima di riuscire a scappare per arrivare alla resa dei conti finale.
Con ‘Furiosa: A Mad Max story’ Miller disegna un'epopea ricca e tentacolare che non fa che rafforzare e approfondire la leggenda di questa serie tracciando un percorso coraggioso con un film che rifiuta di rispettare le regole collaudate seguite dalle storie in franchising e rispetto ad un qualsiasi prequel ne sovradimensiona la storia, la mitologia, i roventi paesaggi desertici e persino le scene d'azione intraprendendo anche nuove strade e dedicandosi in modo credibile alla realtà di sofferenza della sua protagonista
E se Cris Hemsworth nel suo Dementus ricordandosi di Thor ha lavorato sull'infinita verbosità di un “semidio” della terra desolata con arie messianiche, Anja Taylor-Joy che entra in scena dopo un’ora dall’inizio perché prima c’è un’altra giovane attrice a dar volto alla sua adolescenza, disegna Furiosa con i suoi enormi occhi e il silenzio, un angelo nero della vendetta. Pronuncerà solo una cinquantina di battute perché nel suo mondo il silenzio è controllo e potere. Tanto che il film trae gran parte della sua forza dal modo in cui costringe l’eroina a guardare come fosse in un’altra dimensione l'orda di motociclisti di Dementus girare in tondo per 15 anni, uccidendo se stessi e innumerevoli altri nel futile tentativo di controllare una parte di terra desolata che sappiamo non potrà mai essere in loro potere. E ogni nuova umiliazione che è costretta a subire la avvicina all’accettazione del fatto che l’importante è avere un senso di appartenenza e che non andare da nessuna parte ma con una speranza dentro è sempre meglio che avere una meta ma senza nulla per cui sognare.