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Cultura e spettacolo

L'opera seconda di Maura Delpero ha vinto il Leone d’argento alla recente Mostra di Venezia
3 minuti e 19 secondi di lettura
di Dario Vassallo

Lassù sulle Alpi, in pieno inverno, nel piccolo paesino di Vermiglio, nonostante la seconda guerra mondiale infuri in tutta Europa non c'è molta sensazione che sia effettivamente in corso. Lì non si spara, lì la vita continua più o meno come da centinaia di anni a questa parte e per una grande famiglia del luogo (il padre, la madre, sette figli e un altro in arrivo) le giornate trascorrono come sempre, a partire dalla consueta mungitura mattutina delle mucche prima che i bambini vadano a scuola. Le cose cominciano a cambiare quando arriva Pietro, un soldato siciliano fuggito dalla guerra che ha salvato la vita ad un ragazzo del villaggio e che ora ha disertato. La maggior parte della gente non lo accoglie con favore e tuttavia in questa famiglia tutti ne sono in qualche modo affascinati, a partire dalla sorella maggiore Lucia: un corteggiamento senza parole e un piccolo bacio portano ad una storia d'amore che la ragazza poteva solo immaginare nella sua mente, piena di lettere d'amore con cuori disegnati e visite segrete nella stalla. La loro relazione, con tanto di matrimonio e di una gravidanza, cambierà il villaggio per sempre perché una misoginia radicata riemerge sia qui, nell'estremo nord dell'Italia, sia nel villaggio siciliano di Pietro dove un segreto affiora lentamente.

‘Vermiglio’, secondo film di Maura Delpero, Leone d’argento alla recente Mostra di Venezia, ha la consistenza di un’autobiografia traendo ispirazione dai ricordi della regista il cui padre era l'unico insegnante di questa comunità isolata. È un dramma compassionevole e dettagliato sui segreti di una famiglia in tempo di guerra come avrebbero potuto farlo Ermanno Olmi, i fratelli Taviani o Alice Rohrwacher anche se in maniera meno espressionista e più tradizionale. Dando priorità alle immagini più che alle parole quello che emerge oltre i personaggi sono le opzioni estremamente limitate per le donne che fondamentalmente dovrebbero essere macchine per fare bambini per garantire una fornitura costante di membri della comunità fisicamente abili per impegnarsi nel lavoro di sopravvivenza del loro ambiente.

Ci vuole pazienza per lasciarsi affascinare da “Vermiglio” e tuttavia il film di Delpero premia questa pazienza smascherando con sorprendente complessità gli abissi e i meccanismi degli ordini patriarcali. Perché la regista non si limita a scomporre la violenza negli slogan più ovvi alla "mascolinità tossica" ma affronta l'argomento con una capacità multistrato di osservare le diverse prospettive ambivalenti incontrate nelle aree rurali. Il film è storicamente collocato in modo concreto ma nella sua focalizzazione e intercambiabilità è uno sguardo senza tempo alle strutture rigide che si estendono al presente mostrando come la sottomissione, l'oppressione, la paura e la superstizione si trasmettono nel corpo e nel comportamento di ognuno, in qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca. Personaggi come il soldato Pietro che promettono felicità romantica si rivelano bugiardi che lasciano ferite eterne mentre Lucia è destinata a crescere fino a diventare un modello di donna moderna del dopoguerra, diversa dalle generazioni imprigionate da idee antiquate di femminilità.

Interpretato da un mix di attori professionisti e gente del posto e parlato principalmente in dialetto, ‘Vermiglio’, che si svolge nell’arco temporale di un anno, racconta in definitiva quattro stagioni della vita di una famiglia. Una storia di bambini e adulti, tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi stretti nelle curve dell’esistenza, e da collettività farsi individui. Come è stato detto, una storia d’alta quota, con i suoi muri di neve. Di odore di legna e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana e sempre presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande mischia: le madri che hanno guardato il mondo da una cucina con i neonati morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono temute vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i maestri e i preti che hanno sostituito i padri. Una storia di guerra senza bombe né battaglie. Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo.